Cormòns, Teatro Comunale
Collio, varie sedi
24-25 ottobre
La XXVII edizione di Jazz & Wine of Peace ha ulteriormente confermato il carattere del festival friulano: interculturale e – letteralmente parlando – di frontiera. Lo comprova la sua collocazione (e la distribuzione dei numerosi eventi nelle quattro dense giornate) sul territorio del Collio, con alcuni sconfinamenti in Slovenia. Lo ha ribadito l’affluenza di un composito pubblico, per la maggior parte formato da austriaci provenienti dalla vicina Carinzia. Questa edizione si è svolta nel nome e nel ricordo di Mauro Bardusco, lo storico direttore artistico scomparso prematuramente lo scorso giugno. Alla sua inesauribile curiosità e alla sua innegabile competenza si deve il programma di quest’anno, allestito a dispetto della malattia che lo ha stroncato.
24 ottobre. Il Castello di Spessa ha ospitato la performance solistica di Wolfgang Muthspiel. Impegnato esclusivamente allo strumento acustico, il chitarrista austriaco ha proposto i suoi Etudes, undici episodi legati da un filo conduttore e basati prevalentemente su materiali scritti che comunque non escludono porzioni di improvvisazione. Vi figurano fitti arpeggi inanellati con scioltezza da virtuoso; dense progressioni armoniche, efficacemente concatenate; passaggi melodici centellinati con parsimonia. Qua e là si riscontrano vaghe influenze di Egberto Gismonti e Leo Brouwer negli agganci con la cultura latino-americana, ma anche qualche eco di Pat Metheny nei risvolti più melodici. Quanto al materiale altrui, risultano più che godibili le variazioni su All My Loving dei Beatles e su Sarabande, dalla Suite n.1 per violoncello di Bach.

Nell’auditorium della Villa Attems di Lucinico Joe Locke ha fornito una prova esemplare della sua maestria di vibrafonista, compositore e leader di un quartetto completato da Jim Ridl (piano), Lorin Cohen (contrabbasso), Vladimir Kostadinovic (batteria) e arricchito dal giovane chitarrista genovese Matteo Prefumo. Locke riassume il meglio di un vibrafonismo moderno che prende le mosse da Milt Jackson, per il senso del blues, e trae il meglio dalla lezione di Bobby Hutcherson e Gary Burton, in virtù della concezione armonica, come evidenzia pienamente Dear Life. L’amore per la melodia emerge prepotente da Is There a Heart in This House?, che evidenzia un retroterra intriso di blues e gospel, nonché un tema articolato sulla metrica del titolo. Spicca anche una Airegin di Sonny Rollins in cui alcuni segmenti del tema, debitamente camuffato, affiorano da un arguto arrangiamento articolato su un up tempo serrato. La scaletta include anche Song for Vic Juris, tema dall’ampio respiro, concepito per quartetto e firmato da Ridl, e la scattante The Way It Is di Prefumo, basata su un’ingegnosa successione armonica.

Il concerto serale al Teatro Comunale di Cormòns prevedeva il set di Camilla George, considerata astro nascente della nuova scena inglese. In quartetto con Renato Paris (tastiere e voce), Dan Casimir (basso elettrico) e Rod Youngs (batteria), la sassofonista nigeriana ha palesato inconsistenza sul piano del linguaggio e dei contenuti, nonché un’evidente mancanza di personalità. Nonostante la bravura della coppia ritmica, si è assistito a una rimasticatura di luoghi comuni del soul, del r&b e del funk, particolarmente tangibili nell’approccio al sax alto, privo di espressività, passione e di una voce propria. Nessun fraseggio jazzistico, solo una sequenza di frasi spezzettati. L’ennesima dimostrazione della pochezza della cosiddetta nuova ondata del jazz inglese.

25 ottobre. Nel concerto mattutino, ambientato nella magnifica architettura dell’Abbazia di Rosazzo, Concerto per Mauro ha tributato un doveroso omaggio a Bardusco. Protagonisti due eccellenti musicisti friulani: il trombettista Mirko Cisilino e il pianista Glauco Venier, per l’occasione impegnato all’organo a canne. Ampio lo spettro del repertorio scelto, così come vasti erano gli interessi del destinatario della dedica. In a Silent Way, nella versione originale di Joe Zawinul, possiede il respiro di un inno, reso vivido dal timbro cristallino e dalle impennate della tromba. Il fraseggio di Cisilino è sempre fluido, terso e conciso al tempo stesso, anche nei frangenti in cui ricorre alle sordine per ricavarne maggiore espressività. Venier trae il massimo dai registri del piccolo organo, esplorando temi monodici di Guillaume Dufay, canti liturgici di Aquileia, o una composizione dell’armeno Komitas. La sua My Gospel è costruita imbastendo un tessuto armonico intorno alla melodia di Mercedes Benz di Janis Joplin. Come dire, dal profano al sacro. Un comun denominatore, quello dell’amore per la melodia, lega poi materiali tra loro diversi: Lotus Blossom di Ellington-Strayhorn, Gentle Piece di Kenny Wheeler, My Song di Keith Jarrett e il Puccini di O mio babbino caro (da Gianni Schicchi) e Coro a bocca chiusa, da Madama Butterfly.

Tutt’altra atmosfera nel pomeriggio alla Villa Nachini Cabassi di Corno di Rosazzo, con il concerto del Samuel Blaser Trio, in cui il trombonista svizzero riunisce un sodale come il chitarrista francese Marc Ducret e il batterista danese Peter Bruun. Blaser sfrutta l’intesa consolidata con Ducret per elaborare intricate tessiture fatte di puntillismo, coloriture timbriche, contrapposizioni tra sfumature e forti contrasti. Blaser sintetizza la storia dello strumento in una gamma timbrica e linguistica comprendente il suono potente della tradizione (Kid Ory, Jack Teagarden, Tricky Sam Nanton) e le tensioni avanguardistiche di Roswell Rudd, George Lewis. Albert Mangelsdorff e Paul Rutherford. Con il suo proverbiale fraseggio cangiante, spezzato, a tratti corrosivo e iconoclasta (ma mai sopra le righe) Ducret ha definito uno stile inconfondibile, che ha superato qualsiasi modello o riferimento. Nel blues di Blind Willie Johnson Dark Was the Night, Cold Was the Ground mette in mostra un uso moderno del bottleneck. Per parte sua, Bruun si inserisce in questa dialettica con un approccio libero e coloristico, che richiama tanto Tony Oxley quanto Tom Rainey.

Con Marc Copland, di scena al Nuovo Teatro Comunale di Gradisca, il piano trio trova una delle sue massime espressioni per equilibrio formale tra struttura e improvvisazione, per uso delle dinamiche e per costruzione melodica. L’empatia, la trasmissione quasi telepatica di segnali, stimoli e spunti con il contrabbassista Stéphane Kerecki e il batterista Fabrice Moreau alimentano un meccanismo esecutivo realmente paritetico. L’essenzialità, a tratti quasi spartana, l’attenzione rigorosa alle dinamiche, la pulizia del suono e del fraseggio rendono ogni singola esecuzione un piccolo gioiello. A cominciare da un vecchio e poco conosciuto standard come Taking a Chance on Love di Vernon Duke. Sotto questo aspetto, l’interazione tra i componenti raggiunge il culmine in una versione di Blue in Green dove ogni singola cellula viene meditata e distillata, valorizzando all’ennesima potenza l’eredità di Bill Evans. La capacità di rielaborare e trasformare pagine storiche si evidenzia anche in All Blues di Miles Davis, trasportata su un up tempo sul quale si innestano qua e là frammenti del tema. Quanto alle composizioni originali di Copland, The Bell Tolls si evolve progressivamente da un ostinato sul registro grave, mentre Night Whispers è animata da delicate tinte melodiche. Gary, dedicata da Kerecki a Peacock, è il giusto tributo all’asciutto senso melodico e alla fluidità di fraseggio dell’ispiratore.

Al Teatro Comunale di Cormòns Hamid Drake ha ripresentato – a distanza di un paio d’anni dalle precedenti esibizioni italiane – Turiya – Honoring Alice Coltrane. Nonostante l’assenza dello specialista dell’elettronica Jan Bang, questo navigato progetto mantiene il suo respiro, grazie all’espansione del tessuto modale principalmente operata dal vibrafono di Pasquale Mirra, a sua volta sostenuto e integrato da Jamie Saft con scarne punteggiature pianistiche e sostanziosi innesti dell’organo Hammond. Un tessuto sul quale Drake può sovrapporre i suoi poliritmi e le sue instancabili figurazioni, affiancato dal contrabbasso di Joshua Abrams. Meno felici appaiono la danza e il recitativo di Ndoho Ange, e i vocalizzi, filtrati attraverso un sintetizzatore, di Thomas de Pourquery, che comunque si rivela efficace negli interventi al sax alto, sanguigno e viscerale. In buona sostanza, ne risulta un concerto molto più terreno che spirituale.

(continua)
Enzo Boddi
Foto di Luca D’Agostino / Phocus Agency