Silvia Bolognesi & Eric Mingus: “Is That Jazz?”

Ricognizione godibile, ma non scontata, nel repertorio di Gil Scott-Heron

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Firenze, PARC

28 aprile

Gil Scott-Heron (1949-2011) è stato una singolare figura di artista (compositore, cantante, pianista, poeta) profondamente radicato nella cultura popolare afroamericana e strenuo fautore dei diritti della sua gente, come del resto testimoniano molti dei suoi testi. Nella sua musica confluivano soul, blues ed elementi jazz, anche in virtù del fatto che alcuni dei suoi accompagnatori provenivano da quell’ambito. Da più parti è legittimamente considerato un anticipatore del rap e dello hip hop. Del resto, il secco e incisivo recitativo che caratterizza The Revolution Will Not Be Televised, brano di apertura di una pietra miliare come «Pieces Of A Man» (1971), ha senz’altro costituito un riferimento per molti rappers afroamericani. All’arte di Scott-Heron la contrabbassista Silvia Bolognesi ha dedicato il progetto Is That Jazz?, promosso da Toscana Produzione Musica, evento di spicco della rassegna Mixité – Suoni e voci di culture antiche e attuali.

Sicuramente memore di «I Plan To Stay A Believer», in cui il contrabbassista William Parker aveva magistralmente rielaborato alcuni brani di Curtis Mayfield, Bolognesi ha coinvolto nell’iniziativa il vocalist Eric Mingus (figlio del grande Charles) e assemblato una nutrita formazione composta da giovani musicisti: Emanuele Marsico (tromba e voce), Andrea Glockner (trombone), Isabel Simon Quintanar (sax tenore), Gianni Franchi (chitarra), Santiago Fernandez (piano), Matteo Stefani (batteria), Noemi Fiorucci e Lusine Sargsyan (voci). A questi si sono aggiunti due elementi navigati come il tastierista Pee Wee Durante e il percussionista Simone Padovani.

Mingus, Bolognesi e l’ensemble, foto di Giampaolo Becherini

Intorno ad alcuni frammenti della succitata The Revolution Will Not Be Televised, dislocati in punti strategici di un’esecuzione senza soluzione di continuità, la contrabbassista senese ha realizzato degli arrangiamenti che da un lato – sfruttando il potenziale anche timbrico del collettivo – esaltano il piglio ritmico e il contagioso groove di alcune composizioni di Scott-Heron. Un esempio per tutti: Lady Day And John Coltrane, affidato alle due voci femminili. Dall’altro, Bolognesi non rinuncia ad altri tratti distintivi della sua poetica. Il pizzicato potente, viscerale e il fraseggio sciolto, penetrante conducono (al pari delle arcate cupe e avvolgenti) verso passaggi informali, liberatori, ma disciplinati al tempo stesso. In alcuni frangenti, il suo interesse per la musica contemporanea e il suo amore per la conduction (il metodo di improvvisazione strutturale codificato da Butch Morris) spingono la musica verso lidi europei, di stampo squisitamente cameristico, in cui spiccano l’attenzione alle singole cellule, alle singole voci e a sottili dinamiche.

Silvia Bolognesi, foto di Giampaolo Becherini

Mingus può essere in qualche misura accomunato a Scott-Heron in virtù della passione per la poesia e per la prassi esecutiva della spoken word. A questa operazione fornisce un contributo funzionale e consono al contesto, seppur lontano dal modello di riferimento, riuscendo a esprimere una gamma timbrica più ampia e trasmettere emozioni intense nell’atmosfera drammatica di The Prisoner.

Eric Mingus, foto di Giampaolo Becherini

Is That Jazz?, riproposto ai festival di Torino e Vicenza, sarà presto oggetto di un’incisione che verrà pubblicata da Fonterossa, l’etichetta creata e curata dalla stessa Bolognesi. Dopo le sue lunghe e proficue frequentazioni della scena di Chicago, questo è un ulteriore capitolo della sua ricognizione nell’alveo della tradizione afroamericana.

 

Enzo Boddi

 

 

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