Scompiglio, le voci rivelate

Per l'evento conclusivo della rassegna "Voce, vocalità e canto" Ljuba Bergamelli e Ars Ludi hanno costruito un affascinante percorso

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Tenuta dello Scompiglio

Vorno (Lucca)

7 dicembre

Voci svelate, evento conclusivo della rassegna Voce, vocalità e canto – curata da Antonio Caggiano – partiva da un chiaro presupposto: mettere in evidenza l’esplorazione delle più recondite risorse della voce nell’interazione con la percussione, altro strumento primigenio di comunicazione ed espressione. Dunque, la voce come veicolo per travalicare barriere linguistiche, comunicative e culturali, inserita nella costruzione di un articolato percorso narrativo. Tale era l’intento di Voci svelate, efficacemente portato a compimento dalla soprano Ljuba Bergamelli e dal trio di percussionisti di Ars Ludi (Caggiano, Rodolfo Rossi e Gianluca Ruggeri), nell’esecuzione di un programma denso e variegato.

La nuda voce irrompe nel buio della sala in Com a tua voz di Pasquale Corrado, che trae spunto e ispirazione dal fado Com que voz, reso celebre da Amalia Rodrigues, e dai versi del poeta Luis Vaz de Camões. Un vero esempio di destrutturazione di un testo e di fonetica applicata alla composizione, in virtù di una sequenza di fonemi, frammenti testuali e onomatopee. Sempre in solitudine, la voce si trasforma in un’eco lontana, un richiamo evocativo, in La Musique di Elliot Carter, grazie al posizionamento di Bergamelli dietro alla tenda che separa l’auditorium dall’ingresso. La melodia fluisce lieve e scorrevole porgendo agli ascoltatori un estratto da Les Fleurs du Mal di Charles Baudelaire. La musique souvent me prend comme une mer, La musica spesso mi porta via come fa il mare: un verso quantomai consono alle avvolgenti linee melodiche architettate da Carter.

In altri contesti la voce conduce la narrazione in contrapposizione alle percussioni, qui utilizzate – parallelo forse azzardato – in funzione di coro. Questo è senz’altro il caso di due episodi (n. 15 e 19) dei Canti del Capricorno, che Giacinto Scelsi realizzò tra il 1962 e il 1972 in collaborazione con la soprano giapponese Michiko Hirayama. Qui la varietà percussiva (bongo, rullante, tam tam, tamburello) contribuisce sia a una policromia timbrica che a una trama poliritmica che sembra innestare un latente retaggio africano sulla dichiarata ispirazione orientale (ai raga indiani e ai canti dei monaci buddisti) del compositore. La scrittura della parte vocale si concentra sulla valenza dei singoli fonemi e richiede un grande sforzo a Bergamelli, che modula sapientemente l’emissione, modellando letteralmente il suono nelle sue molteplici sfaccettature.

John Cage aveva concepito A Flower (1950) e The Wonderful Widow of Eighteen Springs (1942) per voce e pianoforte chiuso, sostituito nella versione di Ars Ludi da piccole percussioni. In particolare, il primo brano vede dialogare le linee vocali sinuose e suadenti di Bergamelli con il cajón di Ruggeri, mentre nel secondo i dolci tratti melodici si articolano su un frammento tratto da Finnegan’s Wake di James Joyce.

L’apice della dialettica tra voce e percussioni è raggiunto da Elegy, scritto appositamente per Ars Ludi dal compositore cinese Guo Wenjing. Qui la voce emette lamenti e urla di dolore, inerpicandosi su sentieri impervi, mentre i percussionisti fanno ampio uso di piatti cinesi di differenti dimensioni e di Thai gong, a cui aggiungono potenti rullate di tam tam. Emergono melismi e spunti melodici tipicamente cinesi che poi sfociano in aree caratterizzate da un certo lirismo e sostenute dall’intreccio tra vibrafono e due marimbe.

Questi ultimi strumenti sono protagonisti di Rain Tree, del compositore giapponese Tōru Takemitsu. Qui Caggiano, Rossi e Ruggeri abbinano alle marimbe e al vibrafono i crotali, piccoli dischi metallici a suono determinato, collocati in corrispondenza delle tastiere dei rispettivi strumenti. Ne scaturisce un intreccio timbrico affascinante. In una prima fase i suoni – sospesi e dilatati – dei crotali e del vibrafono sembrano quasi galleggiare, stratificandosi progressivamente. Quando subentrano le marimbe, intessono col vibrafono un dialogo sempre più fitto, via via aggregando segmenti che confluiscono in sequenze iterative, ipnotiche.

Invece, per Psychopompos di Giorgio Battistelli i tre percussionisti utilizzano cinque tamburi a frizione (in altre parole, il putipù largamente usato nella musica popolare del Meridione) di diametri diversi. Originariamente composto per sestetto, il pezzo evidenzia una concezione molto materica (certamente distintiva di Battistelli, se si pensa al suo celebre Experimentum Mundi). Ne scaturisce un canovaccio ritmico ora divertente, ora ripetitivo, integrato da vocalizzi fatti di singoli fonemi, sillabe, onomatopee. Più che altro, un gioco intellettuale non privo di una certa ironia. La materia si diversifica e acquista più sostanza quando entrano in gioco le due marimbe e il putipù svolge la funzione di bordone.

Le rassegne musicali dello Scompiglio – al pari delle altre iniziative culturali promosse – offrono proposte stimolanti e lungimiranti, che vanno ben oltre ogni categoria e classificazione, fornendo produttivi spunti di riflessione e cercando al tempo stesso di aprire molte porte.

Enzo Boddi

 

Foto di Angelica D’Agliano

 

 

 

 

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