Sainkho Namtchylak, performer, sciamana e sacerdotessa orientale del canto, è una leggenda vivente della voce. Originaria di Tuva, regione siberiana della Russia ai confini con la Mongolia, sin dagli anni Novanta (quando arrivò in Europa) è un riferimento per la scena più avanzata, sia per l’impressionante estensione vocale sia per essere l’unica performer donna specializzata nel canto armonico, tradizionale stile di canto in cui una singola voce riesce a emette più suoni simultaneamente. A distanza di otto anni dal precedente album, Sainkho Namtchylak e il produttore Ian Brennan, vincitore di Grammy, presentano «Where Water Meets Water: Bird Songs & Lullabies» per Ponderosa, un album di canzoni improvvisate, registrate in presa diretta, dal vivo e senza sovraincisioni, nei misteriosi luoghi delle isole abbandonate di Venezia.
Com’è nata l’idea di questo progetto?
È la mia seconda produzione con Ian Brennan, la precedente è stata il disco «Like A Bird Or Spirit, Not A Face» con musicisti del collettivo tuareg Tinariwen. L’idea questa volta è arrivata da Titti Santini di Ponderosa, voleva fare un disco con me ma voleva che usassi la voce in modo soft, delicato. Io sono conosciuta per le mie performances molto teatrali, carismatiche, invece per questo progetto lui cercava qualcos’altro..
Perché avete scelto di registrare a Venezia?
È stata un’idea di Ian Brennan e Titti Santini: quando mi hanno proposto di registrare a Venezia, la mia prima connessione è stata con l’elemento acqua. Nel corso della mia carriera ho partecipato altre volte a progetti che avevano come tema l’acqua, in più, nel periodo della pandemia, avevo avuto l’intuizione di voler vivere in un’isola, per questo sono stata per un po’ a Burano, sull’isola di Mazzorbo, un posto molto particolare che mi ha dato molta ispirazione, soprattutto per la pittura. Ero sorpresa dal fatto che una città così grande potesse esistere senza auto, come si potesse vivere quando tutto si misura a distanza di cammino o di tragitto in barca, c’è una percezione completamente diversa dello spazio e un’idea completamente diversa del movimento. E poi ho iniziato a osservare, a vedere quanti poeti e artisti avevano vissuto lì, ho iniziato a scoprire pagina dopo pagina tutti questi lati differenti della città, purtroppo poi sono dovuta partire. Quando mi hanno offerto di tornare a Venezia per una settimana per le registrazioni di questo nuovo album sono stata molto felice.
Venezia è una città-cartolina, nota in tutto il mondo nella sua immagine più turistica. Tu e Ian Brennan invece avete dato voce a una Venezia sconosciuta, quella delle isole abbandonate: che sensazioni ti ha dato questa diversa città?
È una città di ombre, fortemente connessa con il passato. È come se la memoria dell’acqua si fosse accumulata, fosse rimasta nelle isole e vivesse lì, è come se non fosse mai stata cancellata dal vento e dall’aria. Naturalmente è una mia fantasia, ma è quello che ho avvertito. È una città di ombre, di cuori infranti, di bellezza bruciata, ci sono state molte guerre, lotte, probabilmente avvenute nelle isole vicine, ma è come se adesso tutto questo fosse presente nell’aria. Ho cercato di entrare in connessione con i luoghi, di trasportare la mia voce attraverso l’aria e di connettermi alla loro energia. Siamo stati in posti molto differenti, l’atmosfera era ogni volta molto diversa, abbiamo registrato a bordo di una gondola, in riva al mare, tra le mura del manicomio abbandonato. È stata per me un’esperienza nuova, di solito mi esibisco con dei musicisti, un palcoscenico, un pubblico. Qui invece non c’era tutto questo, c’era solo l’aria che mi carezzava il viso, così, come mi aveva suggerito Titti Santini, ho esplorato la mia voce utilizzandola in modo soft. E mi è sembrato a un certo punto che arrivasse una sorta di energia potente, non so da dove, probabilmente dal passato, o da un posto molto distante, o da un’altra galassia. La voce delicata è stata capace di connettermi a sensazioni che non avevo mai avuto prima, ed è stato per me davvero entusiasmante sperimentare tutto questo.
Il manicomio dove hai registrato si trova sull’isola abbandonata di Poveglia, nota anche come l’isola dei morti. Si dice che sia infestata dagli spiriti, insomma uno dei luoghi più stregati al mondo. Com’è stata l’esperienza?
I luoghi in cui registrare sono stati decisi da Ian Brennan, che ha una profonda conoscenza di Venezia e delle sue isole più remote. Nel caso di Poveglia ho avuto la sensazione che fosse una sorta di «discarica spirituale»: nonostante ci fosse una giornata bellissima, la luce, l’atmosfera cambiava in modo repentino. C’era il sole e un attimo dopo l’ombra, era tutto molto rapido, ho avuto la sensazione che ci fossero delle presenze spaventate da noi che si muovevano improvvisamente. Probabilmente sono spiriti che vivono lì e forse, appena ce ne siamo andati, sono tornati. È un posto molto mercuriale. È stata un’esperienza interessante, ma onestamente se mi chiedessero di tornarci non lo farei.
Scrivi versi e parli diverse lingue, ma questa volta hai scelto di cantare foneticamente in una «non lingua». Come mai?
In realtà avevo già preparato i brani, ma abbiamo iniziato a registrare il 1° marzo 2022 e il 24 febbraio la Russia aveva invaso l’Ucraina. Tutte le persone nate in URSS come me, oppure in Russia, hanno avuto uno shock, e poi una grande depressione e una forte sensazione di abbattimento. Per me era l’inizio del lavoro: guardando quanto avevo scritto per registrare il disco ho iniziato a pensare che ogni parola fosse sbagliata, ogni verso fosse sbagliato, e alla fine ho lasciato solo la melodia. Un po’ come gli uccelli che, quando inizia la guerra, smettono di cantare. Cercavo di concentrarmi, di dire qualcosa, ma non mi venivano le parole.
In questo disco le melodie sono improvvisate?
Non esattamente. Ho preso ispirazione dai frammenti di alcune melodie tradizionali e le ho rielaborate, ma è solo una mia interpretazione perché sono cantate con il canto armonico che è tradizionalmente praticato dagli uomini. Ho dovuto riarrangiarle in modo da poter cantare la melodia e utilizzare gli armonici come elemento decorativo. È come se ci fossero due o tre canzoni assieme e nel mezzo ci fossero linee melodiche e momenti di canto armonico. A dire il vero, rispetto ai testi, in qualche episodio utilizzo anche dei miei versi, scritti nel mio linguaggio nativo, altri in inglese, altri in russo.
La tecnica del canto armonico, secondo la tradizione di Tuva, è praticata dagli uomini. Come hai imparato questa tecnica e come hai iniziato ad applicarla?
Da studente non avevo mai pensato di diventare una cantante, pensavo che sarei diventata una docente e etnomusicologa. Prima della perestrojka molte musiche erano proibite in URSS, io ho iniziato a scoprire tra gli archivi di studio musiche della tradizione sciamanica, rituale e musiche cantate da monaci. Poi, verso il 1977-1978 (ero a Parigi), un musicologo aveva portato dall’Unione Sovietica un ragazzo di Tuva per una dimostrazione di questa tecnica: mi sono incuriosita e ho iniziato ad approfondire. All’epoca era diventato uno stile di canto improvvisamente molto popolare, c’erano diverse persone che viaggiavano verso l’Asia per documentarlo, ho iniziato a trovare dischi in vinile e molto materiale sul tema. Avevo capito che era qualcosa non solo di non popolare nella mia cultura ma allo stesso tempo che non veniva diffuso e non era accessibile al grande pubblico. In quel periodo mi sono laureata in canto e in didattica della musica, dopo quattro o cinque anni ho iniziato a esibirmi come cantante, all’inizio cantavo solo la melodia e aggiungevo dei suoni decorativi, solo dopo otto anni circa ho iniziato a praticare il canto armonico. E comunque ho ricevuto molte critiche, il mio lavoro era considerato banale, kitsch, una corruzione delle tradizioni. È stato molto difficile, prima di tutto perché ero una donna, poi perché dicevano che non fosse possibile mescolare le forme tradizionali con delle liriche proprie. Adesso invece è considerato normale, ci sono cantanti francesi, tedeschi di altre nazioni che lo praticano.
Quali sono state le voci che più ti hanno ispirato?
A quattordici anni ascoltai per la prima volta alla radio Yma Sumac, che doveva venire a Mosca per un concerto con orchestra sinfonica. Quando sentii la sua voce rimasi molto colpita, mi parve una sciamana, una maga, anche se all’epoca non sapevo bene di cosa si trattasse. A diciott’anni conobbi Oleg, il mio futuro marito, che era venuto a vivere a Tuva da Mosca: dopo aver finito gli studi musicali all’università era stato mandato a lavorare in Siberia, credo perché ideologicamente non era allineato, non ascoltava musica comunista e leggeva libri differenti. Attraverso lui mi si è aperto un mondo, ho ascoltato per la prima volta i Beatles, i Pink Floyd, Stevie Wonder. Elton John su nastri a bobina, è stata una cosa che mi ha cambiato completamente la vita. Poi quando sono andata a studiare a Mosca ho scoperto le cantanti d’opera e la musica indiana con i raga classici, ma soprattutto la musica cubana! Per me quei ritmi erano fantastici! E a Mosca ho incontrato degli studenti cubani che mi hanno insegnato a ballare: incredibile! Dopo di che, ho scoperto dischi della DDR di musica africana e dischi d’opera registrati fuori dall’URSS, e mi sono innamorata di quelle voci meravigliose. Dai diciotto ai vent’anni sono stata una cantante molto fortunata. Ma anche adesso mi ritengo tale, in tempi così difficili ho avuto la possibilità di registrare la mia voce per un progetto così meraviglioso e ho già inciso diversi dischi per Ponderosa, per cui sono davvero felice.
Nel corso della tua carriera hai cantato con parecchi musicisti di jazz. Come hai scoperto il jazz e che rapporto hai con questa musica?
L’ho scoperto e ho imparato a capire cos’è da un altro punto di vista, quello del free. Formazioni come l’Art Ensemble of Chicago e Sun Ra Orchestra mi sembravano formate da sciamani, per me era assolutamente chiaro che questi gruppi arrivavano dalla cultura sciamanica, erano visionari, spirituali. Ho iniziato ad ascoltarli e a connettere nella mia immaginazione tutte queste radici antiche che portavano anche alla mia cultura, agli sciamani della Siberia. Poi ho iniziato ad ascoltare le cantanti di jazz, ovviamente mi sono innamorata di Billie Holiday, Aretha Franklin, Ella Fitzgerald, Fontella Bass, la moglie di Lester Bowie, voci afro-americane che rappresentano le radici del jazz, ho iniziato a capire fisicamente come pronunciano e come costruiscono la loro voce. Attraverso questo ho capito che il jazz è una forma aperta, nei ritmi del jazz è possibile usare anche i ritmi delle canzoni di Tuva perché, in qualche modo quando sei a cavallo è come se stessi swingando. Ho iniziato a scrivere degli arrangiamenti che sono vicini al jazz ma non agli standard, piuttosto all’etno-jazz, ho iniziato a scrivere dei versi, ho visto che è possibile usare i poliritmi per l’improvvisazione.
A quali progetti stai lavorando?
Sto lavorando a diversi progetti che si erano fermati durante la pandemia, in particolare a «Lost Rivers 2», che è il seguito di un disco di musica improvvisata che avevo inciso a Berlino nei primi anni Novanta e che oggi è tornato in auge. È stato scoperto dal pubblico cinese, i download sono aumentati all’improvviso e mi hanno chiesto il seguito di quei sette minuti di urla. Così ho scritto una composizione, uscita come singolo a dicembre 2022, e questa volta urlo per 26 minuti e 18 secondi: i download hanno incredibilmente iniziato ad aumentare! Sembra sia molto popolare tra i giovani. Ho anche un altro album con dieci brani, «Survival Songs», uscito a gennaio 2023. E poi sto lavorando a un mio progetto personale.
Puoi raccontarcelo?
Mi sto impegnando per l’ambiente, in particolare contro l’inquinamento dell’acqua. Purtroppo non c’è sensibilità sull’argomento, è un grande problema, i ghiacciai si stanno sciogliendo, non abbiamo più acqua naturalmente pulita nel Pianeta. Sto lavorando a un progetto in Mongolia, è un Paese bellissimo, così simile a Tuva, molti dei miei parenti vivono lì. Io purtroppo non posso tornare a Tuva, così quando ho nostalgia di casa e ho bisogno di ritirarmi in meditazione vado in Mongolia, ed è lì che voglio fare qualcosa perché la natura sia mantenuta il più possibile pulita. A Vienna, dove vivo, bruciano i rifiuti e producono energia per il riscaldamento, i termovalorizzatori hanno degli ottimi filtri e l’acqua del rubinetto si può bere. È un esempio virtuoso e voglio fare in modo di ispirare anche gli altri Paesi a fare questo. Avevo scritto ai politici di Tuva per avviare un progetto simile ma la guerra è scoppiata e tutto si è fermato. Adesso voglio riprovarci in Mongolia, voglio sensibilizzare i poeti, i pittori gli artisti, gli scienziati, voglio ispirare la gente attraverso l’arte, voglio che le persone si fidino di me, voglio cantare delicatamente per farmi ascoltare da loro e provare a cambiare le cose.