Cosa ritieni di vitale importanza per la tua vita artistica?
La fortunata possibilità di concentrarmi sulla mia musica e sul mio sviluppo come musicista e creatore di musica nel corso di molti anni. E la possibilità di lavorare e imparare con musicisti di livello superiore al mio.
E come descriveresti la tua evoluzione come artista?
La visione di me stesso come artista non è iniziata prima del lancio della mia etichetta Jazzland e del mio primo album «New Conception of Jazz» nel 1996. Prima di allora mi consideravo principalmente un musicista e un creatore di musica, poi sono diventato anche un discografico.
Parliamo del tuo recente concerto in Italia, a Pordenone. Ti sei esibito con Rymden. Quali novità avete portato sul palco?
Rymden ha appena inciso un nuovo album, quindi abbiamo presentato un po’ di nuova musica. Sono sempre molto felice di poter lavorare con Dan e Magnus!
A proposito di Rymden. Come è nata l’idea di questo trio?
Da qualche tempo sognavo di lavorare in una forma di piano trio, cosa che non avevo mai fatto. Pensando alle direzioni musicali mi è venuto in mente di chiedere a Dan e Magnus di esplorare un’atmosfera di musica nordica europea con ispirazioni dalla musica tradizionale scandinava, dalla musica classica europea e da direzioni come il Krautrock e la musica elettronica.
Magnus e Dan facevano parte degli E.S.T. Pensi che Rymden stia raccogliendo l’eredità del trio di Esbjörn Svensson?
Dan e Magnus sono stati una parte molto importante degli E.S.T. e hanno influenzato quel sound, anche se Esbjørn scriveva tutti i brani. In Rymden tutti e tre contribuiamo in egual misura come compositori. Ma naturalmente siamo molto orgogliosi di continuare la bella e forte eredità e il suono degli E.S.T.
Ci parleresti del nuovo album «Rymden + KORK» e della registrazione dal vivo con la Norwegian Radio/Broadcasting Orchestra?
Si è rivelato un progetto davvero entusiasmante! È stata KORK (l’Orchestra della radio nazionale norvegese) a contattarci per questo concerto. Ci ha permesso di scegliere grandi arrangiatori e credo che ci siamo tutti divertiti molto durante le prove e il concerto.
Qual è il tuo rapporto con il pubblico italiano?
Sono stato molte volte in Italia nel corso degli anni. Un pubblico meraviglioso e ricettivo! Non dimenticherò mai il mio primo concerto in Italia a Umbria Jazz nel 1999, in una bellissima piazza con il mio gruppo New Conception of Jazz.
Da dove trai l’ispirazione?
Dall’ascolto di altra musica e in generale dai suoni che mi circondano. Dalle passeggiate e dalle gite sugli sci. Dai viaggi, dall’incontro con persone straordinarie e dall’esplorazione di altre culture.
Cosa significano per te l’improvvisazione e la composizione e quali sono, per te, i loro rispettivi meriti?
Compongo semplicemente per avere un punto di partenza per l’improvvisazione, credo che la musica jazz sia una forma d’arte unica in cui l’ascoltatore è esposto alla creazione che viene fatta di fronte a lui.
Hai registrato in una chiesa. Oltre all’acustica, c’è anche la sacralità del luogo che vi ha motivato?
C’è un’atmosfera speciale in un edificio sacro! Ma soprattutto per il suono meraviglioso di edifici come questo.
Perché a suo tempo hai sentito il bisogno di creare una casa discografica?
All’epoca, a metà degli anni Novanta, in Norvegia non c’erano etichette che si concentrassero sul mio tipo di jazz misto a musica elettronica. Per questo ho fondato la Jazzland. Per essere sicuro che qualcuno lavorasse il più possibile con la pubblicazione, ovvero io!
Come selezioni i musicisti? Ha qualche criterio in particolare che segui?
Ci sono così tanti grandi musicisti con cui vorrei lavorare. I criteri variano. Giovani di talento, musicisti unici.
Il sociologo Howard S. Becker sostiene che la musica non trae beneficio dall’essere suonata dal vivo. Cosa ne pensi di questa affermazione?
Non sono affatto d’accordo, almeno per quanto riguarda il mio genere musicale. La mia musica è tutta incentrata sul tentativo di stabilire dei bei momenti in cui esecutori e ascoltatori si uniscono come un tutt’uno e l’energia si trasmette tra musicisti e pubblico. Questo non può essere fatto senza un pubblico.
A questo proposito, qual è il tuo approccio all’esibizione sul palco?
Cercare di suonare al meglio e di essere aperto a qualsiasi cosa accada sul palco in qualsiasi momento.
Vuoi parlarci del tuo album «Be Am»? Qual è la sua genesi?
«Be Am» è stato realizzato durante il periodo di lockdown e con molto tempo a disposizione per le riflessioni, le passeggiate eccetera. In quel periodo ho registrato un sacco di piccole idee sul mio iPhone e ho deciso di fare un album con alcune di queste idee senza svilupparle troppo in arrangiamenti più grandi. Questo per cercare di mantenere «l’attimo» in cui l’idea è stata creata.
Di recente è stato pubblicato anche «DuoII» con Henrik Schwarz. Questo progetto di duetti avrà un futuro? Lo porterete avanti?
Sì, lo spero davvero! Questo è il nostro secondo album come duo, più un album come trio con Dan Berglund al basso. Adoro lavorare con Henrik! È un artista molto forte nel suo campo e il nostro modo di improvvisare (suonare jazz) e di creare musica spontanea con il pianoforte e il laptop è incredibilmente interessante per me.
Perché hai scelto un dj/produttore?
Fin dagli anni Ottanta mi sono particolarmente interessato alla musica elettronica e ho sempre cercato collaboratori in quel campo musicale. Trovo molto interessante la combinazione tra la musica prodotta elettronicamente e quella suonata acusticamente.
Usando spesso l’elettronica, quale valore aggiunto ritieni che essa dia alla tua musica?
La combinazione di suoni elettronici e acustici, la possibilità di elaborare il suono acustico attraverso l’elettronica in una performance dal vivo. L’attrito tra musica quantizzata e non quantizzata.
Vedi la musica che fai come qualcosa di nuovo o come un ulteriore sviluppo di qualcosa che già esiste?
È tutto uno sviluppo! Non credo che nulla sia mai stato creato come qualcosa di completamente nuovo, è tutto uno sviluppo e una combinazione di idee esistenti.
In Italia il jazz ha qualche problema di pubblico: è in calo e i giovani lo seguono poco. Com’è la situazione in Norvegia?
Penso che la popolarità del jazz vada e venga con le diverse generazioni. Credo fermamente che il jazz debba e possa sempre rimanere fresco a contatto con nuove idee, nuovi suoni e nuove generazioni creative. il jazz è sempre stato così!
Quali artisti catturano la tua attenzione oggi?
Tanti! C’è una grande scena norvegese adesso, con artisti come Anja Lauvdal e Mette Henriette. C’è una grande scena berlinese! E ci sono un sacco di cose interessanti che si mescolano con musica contemporanea e jazz, musica tradizionale e jazz, musica elettronica e jazz.
Qual è il tuo rapporto con i social media? Pensi che siano fondamentali per un musicista?
I social media hanno cambiato il mondo… È difficile nascondersi da essi. Posso raggiungere e ascoltare musica straordinaria da tutto il mondo in qualsiasi momento, ma troppe informazioni possono anche portare all’apatia…
In che modo il giornalismo musicale e le aziende di pubbliche relazioni cambiano il modo in cui la musica viene percepita dal pubblico?
L’essenza della musica rimarrà sempre la stessa! È una bella occasione per entrare in contatto con la musica. D’altra parte, c’è così tanta musica dappertutto che il pericolo è che il valore della musica stessa si perda, e anche le tempistiche di oggi, con uno spazio di interesse di 15-30 secondi per molte persone, possono creare difficoltà.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Spero di continuare a lavorare e progredire come musicista e creatore di musica.