AUTORE
Vijay Iyer
TITOLO DEL DISCO
«Compassion»
ETICHETTA
ECM
Iyer è musicista molto attento alla pianificazione: di questo riferisce in modo evidente la sua intera carriera, nella quale sinora ciascun passo è stato accuratamente pensato e poi realizzato. Non deve quindi stupire che il suo secondo album con il trio che lo vede riunito a Oh e a Sorey (e ottavo in casa ECM, nel conto generale) segni un ulteriore passo in direzione di un chiaro consolidamento stilistico, dopo l’eccellente esito di «Uneasy» (2021). Nel contempo, però, faremmo cattivo servizio all’artista se non rendessimo merito alla sua tenace «fedeltà all’idea» che valorizza sempre l’insieme, disinteressandosi dello spunto meramente individuale, in un processo di intensificazione crescente (lui lo definisce accretivo). Iyer, cui va riconosciuto anche il dono di una estrema lucidità di pensiero, manifesta anche in questa occasione la costante tendenza alla costruzione. In questo contesto è comprensibile anche una certa dimensione di assimilazione dei suoi partner, nella logica dell’adesione a un proget[1]to comune, nel quale, peraltro, proprio il pianista è il primo a cedere quote di sovranità. È evidente che egli pensi (e si pensi) più come compositore, artefice, architetto che come pianista, sospingendo costantemente in avanti il trio. Nel suo affastellare la propria voce strumentale a quella dei compagni – e nella sua assoluta non-volontà di pensarsi come «solista» – si ritrova il senso della ricerca d’un «modo non-solistico di improvvisare insieme», di cui ama discettare, e che fa venire alla mente il «We never solo, we always solo» di Joe Zawinul. Nel programma del disco ritorna anche la riconoscenza del pianista per una tradizione della quale si sente pienamente parte (e a ragione), che prende corpo nell’omaggio reso a un certo pantheon di personalità: Chick Corea, Roscoe Mitchell, Geri Allen, Desmond Tutu. In questa direzione muovono dunque sia le versioni di Overjoyed, Nonaah, Drummer’s Song (quest’ultima già presente in «Uneasy»), sia il brano originale Arch (che sta per «archbishop»). Analogamente, le note di copertina riportano un significativo passaggio del pensiero di Wadada Leo Smith, che di Iyer è indiscusso mentore. Né mancano taluni riferimenti specifici a temi «sociali» (le difficoltà del periodo pandemico, il brutale assassinio, animato da motivi razziali, di Emmett Till) o familiari (Prelude: Orison, dedicata a suo padre). La musica esprime una robustezza frenetica e a tratti estatica, vigorosa e sempre proiettata in avanti, che in alcuni momenti si fa furiosa (e sappiamo come dal vivo sappia trasformarsi in calcolata ferocia espressiva): il passaggio centrale in cui si susseguono Maelstrom, Prelude: Orison e Tempest ne fa piena fede. Ferme restando le note caratteristiche di un trio formidabile, in questa occasione è Oh che particolarmente colpisce, per una performance in stato di grazia, testimonianza di un momento felice della sua vita, non soltanto artistica, che la vede in grandissima crescita, anche con le opere a suo nome. Disco che assolutamente vi raccomandiamo, con l’avvertenza di dedicare a esso il tempo che merita, esso svelando – ad ascolti ripetuti – continui spessori e particolari di grande rilievo.
Cerini
recensione pubblicata sul numero di febbraio 2024 della rivista Musica Jazz
DISTRIBUTORE
Ducale
FORMAZIONE
Vijay Iyer (p.), Linda May Han Oh (cb.), Tyshawn Sorey (batt.).
DATA REGISTRAZIONE
Mount Vernon, maggio 2022.