ABDULLAH IBRAHIM «3»

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AUTORE

Abdullah Ibrahim

TITOLO DEL DISCO

«3»

ETICHETTA

Gearbox


Quest’anno Ibrahim toccherà il traguardo dei novanta, e da quel che si sentito allo scorso Bergamo Jazz Festival, che ancor prima si è visto sulla copertina di Musica Jazz di maggio 2023 e letto in quel numero nella bella intervista rilasciata a Nicola Gaeta, colui che un tempo veniva presentato dalla sua storica etichetta ENJA come «A world traveler since 1962», non pare affatto intenzionato a ritirarsi. Per nostra fortuna, aggiungiamo. Basti ascoltare questo doppio album, registrato in modo impeccabile, documentazione di due esibizioni tenute il luglio scorso alla Barbican Hall di Londra assieme al proprio trio Ekaya, per rendersi conto della freschezza della sua musica, oramai giunta a un’essenzialità invidiabile; per quanto, nell’intervista citata, l’uomo di Città del Capo confessava di essere ancora alla ricerca della nota perfetta («Continuo a sognare che un giorno sarò in grado di suonarla», aggiungeva). In questa occasione c’è andato assai vicino, esibendo un pianismo armonicamente essenziale, attentissimo allo sviluppo delle linee melodiche, rivisitando brani del suo repertorio, proponendo qualche nuovo brano e rileggendo alcuni classici del jazz. I primi sei brani sono stati registrati prima del concerto, quindi in assenza di pubblico, e risalgono a varie stagioni del musicista sudafricano, alcuni pubblicati quando ancora si firmava Dollar Brand, come Ishmael (da «The Children of Africa», 1976), qui ridotto all’osso, accentuandone il ritmo e donandogli maggiori inflessioni mediorientaleggianti. Al contrario, Maraba (da «Cape Town Flowers», 1997), viene svolto su un tempo più disteso, evidenziandone l’atmosfera gospel che vi è sottesa. Pepite dal lucore intatto, reimmaginate più che rammemorate. Pubblicato in origine su «African Sketchbook» (1969), Krotoa, per esempio, opera una piccola rivoluzione copernicana, mettendo in luce la melodia, scegliendo un tempo più lento e lasciando fuori qualsivoglia dissonanza. Anche il più recente Mindif (il tema del film Chocolat di Claire Denis, 1988), già ripescato nel precedente disco di Ibrahim, «Solotude» risalente a tre anni fa, riprende il volo come un’aria cameristica portata in alto dal soffio screziato di Guyton, al flauto. Il brano lo si ritrova più avanti a far da bis al concerto in una versione dal medesimo carattere. Passando al concerto vero e proprio, l’inizio è col botto, perché Ibrahim si cimenta subito con un pezzo da novanta del jazz, In a Sentimental Mood, affidato soprattutto ai suoi partner. Magnifico Guyton nel disegnare il tema e improvvisare intingendo il suo flauto nel grande fiume del blues. Superbo il sostegno ritmico di Jackson, mentre il leader limita il suo apporto a pochi cenni. Il contrabbassista si fa addirittura carico di affrontare con eleganza e trasporto un’altra pietra miliare: Giant Steps. La celeberrima sequenza viene magnificamente intrecciata con un nugolo di note improvvisate scatenando l’entusiasmo del pubblico. È l’introduzione ideale al successivo Reprise 1, lunga meditazione pianistica intorno a un centro tonale in un vai e vieni tinto di blues che scivola progressivamente in un’atmosfera quasi romantica. Sempre dal repertorio di Ibrahim arriva quella che è forse la gem[1]ma più rilucente dell’intero programma. Si tratta di Water From an Ancient Well, ripreso dall’omonimo album del 1986, una sintesi leggiadra di gospel, blues e jazz che rivede il flauto in prima linea facendo comparire sullo sfondo la benevola presenza in spirito di Roland Kirk. Una progressione pacata, lungo la quale irrompe a un tratto Jackson con un assolo denso e agitato prima di tornare tutti assieme al tema e infine al caldo applauso del pubblico. Dallo stesso disco arriva anche Tuang Guru, introdotta da un trascinante Jackson e che vede Guyton all’ottavino in un assolo frizzante e piuttosto straniante, affatto apprezzabile. Si procede come immersi in una dimensione senza tempo, tant’è che un brano pare proprio suggerire la natura dell’evento, Dreamtime, ballata davvero sospesa come una nuvola, fatta di poche note, tanta rilassatezza: un incanto. In scaletta trova spazio anche una composizione monkiana, Skippy, datata 1952, che Ibrahim aveva già inserito in «The Balance» (2019). L’introduzione pianistica di stampo impressionistico sembra voler confondere le carte, ma lascia un indizio sull’autore del brano e poi tutto diventa chiaro. Ibrahim si rituffa in una lunga improvvisazione per solo piano con Reprise 2, un gioco di costruzione e di smarrimento della melodia non appena imbastita, un viaggio attraverso stati d’animo differenti che prendono la forma della canzone popolare, del blues, ancora del gospel, un girovagare nei labirinti dell’anima, dando la sensazione di smarrirsi, ritrovarsi e continuare nuovamente a cercare. Tutto a partire da un solo accordo iniziale. Un’ultima menzione (anche se tutti i brani in scaletta la meriterebbero) per Blue Bolero, dal tema magnifico (addirittura riproposto tre volte nel citato «Solotude»). Il brano dura appena un minuto, ma tanto basta a Ibrahim per ricamare in solitudine, una volta ancora, languide e minime variazioni, finendo per cesellare una sorta di barcarola in blue. È un tratto che caratterizza l’intera prova pianistica di Ibrahim, che in tutti i brani è in apparenza defilato ma proprio in virtù di questo atteggiamento pone ancor di più in risalto il suo virtuosismo pianistico, oltre alla visione d’insieme della musica eseguita, complice anche l’intesa favolosa con i suoi partner. Si chiude con un vero e proprio canto di commiato, Trance Mission, eloquente già dal titolo, uno spiritual cantato da Ibrahim quasi innalzando una preghiera, forse di ringraziamento, o forse una forma di benedizione verso il pubblico, di sicuro la risonanza di una dimensione a tratti ancestrale che ha reso il concerto quasi una cerimonia sacra, con quel vecchio viaggiatore oramai divenuto a suo modo uno sciamano. Il resto è commozione.
Gennaro Fucile

DISTRIBUTORE

gearboxrecords. bandcamp.com

FORMAZIONE

Abdullah Ibrahim (p.), Cleave Guyton (fl., ottavino), Noah Jackson (cello, cb.).

DATA REGISTRAZIONE

Londra, 15 luglio 2023.

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