Pisa Jazz Rebirth: Miguel Zenon Quartet

La delicatezza delle tinte latine

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Pisa, Giardino Scotto

12 luglio

Pisa Jazz festeggia il cinquantesimo anniversario con un ricco programma che anima la terza edizione di Pisa Jazz Rebirth, rassegna nata nel 2022 con un titolo non casuale dopo l’interruzione causata dal Covid. A Timeless Quest, una ricerca senza tempo, è il sottotitolo scelto quest’anno dall’organizzazione per sottolineare da un lato la varietà dei contenuti espressi dal corposo cartellone; dall’altro, l’urgenza di alcuni dei suoi protagonisti di sviluppare nuove forme comunque collocabili nell’ambito di quel che ancor oggi ci ostiniamo a definire, e giustamente, jazz.

Tra questi rientra senz’altro e a pieno titolo il sassofonista portoricano Miguel Zenôn, presentatosi al Giardino Scotto alla testa del proprio consolidato quartetto. Nella formazione figurano il connazionale Henry Cole, batterista; il contrabbassista austriaco Hans Glawischnig (figlio del grande Dieter, pianista a suo tempo molto attivo sul fronte del free); il pianista venezuelano Luis Perdomo. Una multiculturalità che – indipendentemente dall’impronta prevalente del leader – contribuisce a definire una cifra composita e ben caratterizzata al tempo stesso.

Miguel Zenon – Foto di Nicola D’Errico

Come sassofonista contralto Zenôn possiede una voce suadente, densa di valenze melodiche, sostenuta da un timbro nitido e da un fraseggio sfaccettato e riccamente articolato, in cui la matrice post bop si sposa idealmente con la componente ritmico-melodica afrocaraibica. Quest’ultimo retaggio affiora palesemente nella maggior parte delle sue composizioni, nelle quali però Zenôn evita accuratamente il rischio di cadere nell’oleografia e nell’ammiccamento. Tant’è vero che a tratti le linee melodiche e ritmiche di matrice più spiccatamente latina risultano prosciugate e ridotte alla loro essenza, come nel caso del mambo afrocubano. In altri frangenti, Zenôn produce fraseggi più taglienti e spigolosi, oppure crea figura iterative, di ulteriore stimolo per la ritmica.

Zenon, Glawischnig & Cole – Foto di Nicola D’Errico

Sostenuti dai possenti contrafforti accordali di Perdomo, Glawischnig e Cole costruiscono impianti poliritmici in cui si coglie un’atavica impronta africana. Il bassista con una cavata corposa, un fraseggio essenziale ma pregnante, ostinato implacabili e un suono classico. Il batterista con figurazioni cangianti, varietà di accenti e dinamiche, ma senza lasciarsi prendere la mano da inutili atteggiamenti spettacolari. Per parte sua, Perdomo conferma di essere un fuoriclasse dello strumento, abile nello scavare e nello sviluppare il tessuto modale delle composizioni penetrandovi con linee oblique (in parte debitrici di McCoy Tyner e Herbie Hancock) e sovrapponendovi potenti figure ritmiche. In conclusione, un quartetto dall’identità ben definita, capace di stabilire collegamenti stilistici precisi ed efficaci.

Luis Perdomo – Foto di Nicola D’Errico

Vale adesso la pena di dedicare uno spazio anche alla formazione che aveva aperto la serata. Il quintetto del pianista livornese Daniele Gorgone annovera il sassofonista americano (da anni residente in Italia) Michael Rosen, il trombettista inglese Quentin Collins, il contrabbassista Carlo Bavetta e il batterista Pasquale Fiore. Ex allievo, tra gli altri, di Dado Moroni e dotato di un’ottima tecnica, Gorgone esibisce un approccio fortemente radicato nel pianismo di ambito afroamericano. Nella circostanza ha proposto delle godibili interpretazioni di brani del repertorio di Chick Corea.

Daniele Gorgone – Foto di Nicola D’Errico

La boppistica Chick’s Tune, registrata per la prima volta su «The Thing to Do» di Blue Mitchell, esalta l’interazione tra Rosen, tenorista sanguigno e Collins, solista sulle tracce del miglior Freddie Hubbard. Tratte da una pietra miliare come «Now He Sings, Now He Sobs», la sghemba, sussultante Matrix e l’ampio respiro di Windows valorizzano l’apporto del collettivo. Infine, Sicily – scritta da Corea per Pino Daniele e apparsa su «Che Dio ti benedica» – evidenzia l’amore dell’autore per melodie riconducibili all’area mediterranea.

Michael Rosen & Quentin Collins – Foto di Nicola D’Errico

Proprio in virtù dell’attenzione rivolta alla scena internazionale e dello spazio giustamente riservato al jazz italiano, Pisa Jazz Rebirth significa – come il nome stesso suggerisce – rinascita dell’interesse per proposte di qualità in una città che al jazz (e anche alle sue frange più avanguardistiche) aveva dato tanto già negli anni Settanta.
Enzo Boddi

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