ONJGT Synthesis e John Surman – Vigleik Storaas Duo

Doppio concerto con ONJGT Synthesis diretta da Paolo Damiani e uno dei padri del jazz europeo

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Roma, Casa del Jazz
5 luglio 2023

Giusto un anno dopo, e sempre in una serata di doppio concerto, l’Orchestra Nazionale Jazz Giovani Talenti diretta da Paolo Damiani, prodotta dalla Fondazione Musica per Roma, si presenta nella sua formazione compatta, Synthesis, che vede schierati, oltre al leader al violoncello, Francesco Fratini alla tromba, Camilla Battaglia come cantante, Anais Drago al violino, Giacomo Zanus alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso e Francesca Remigi alla batteria.

Dopo averla lungamente seguita nel corso del 2021, avevamo in qualche modo tenuto a battesimo l’Orchestra in questa sua ultima edizione, nel primo concerto del 2022, e ne avevamo riportato l’impressione di un organico di tipo più tradizionalmente jazzistico rispetto al precedente, che era stato più giocato su modularità e raddoppi strumentali e timbrici. Questa versione compatta della formazione, naturalmente, mette in mostra aspetti più cameristici, riportando il ricordo verso certi gruppi di Damiani degli anni Novanta.

Se l’ONJGT edizione 2022 ha avuto poche occasioni di esibirsi, questo è vero in eguale misura per Synthesis, ensemble costituito, in effetti, per la rassegna di Bergamo Jazz, dove si è esibito a Marzo di quest’anno. Questa circostanza rende ragione di una certa mancanza di collante, che si avverte meno nelle medley di Damiani, in apertura e chiusura di concerto, dove la musica rimane pù libera di «cantare» e dispiegarsi,  ma è più evidente nei pezzi degli altri componenti. La presenza di questi ultimi rimane una delle più interessanti pratiche interne all’organico, fortemente voluta da Damiani, intesa a stimolare l’affinamento di attitudini compositive e la coesione dell’insieme. Purtroppo ques’ultimo aspetto richiede tempo, che i musicisti non hanno evidentemente avuto, soprattutto se a dover essere metabolizzati sono brani dotati di strutture metriche assai complesse. Se ne farà indubbiamente tesoro nel nuovo assetto dell’organico, ormai alle porte, visto che l’Orchestra (e lo stesso Damiani) non abdicano all’idea di base: facilitare l’affermazione (o il consolidamento) di giovani musicisti di successo e mandarli in giro per il mondo, valorizzando un «modello di filiera», che pesca  fra i giovani talenti segnalati dalla critica o direttamente nei Conservatori.

ONJGT Synthesis

La seconda parte della serata presentava il concerto di uno dei nomi storici del jazz europeo, non solo (e non tanto) per la sua militanza all’interno dell’etichetta discografica Ecm, di cui rappresenta comunque uno dei nomi più significativi. Infatti John Surman ha elaborato negli anni uno stile del tutto personale, ove si fondono indiscusse capacità tecniche, una voce strumentale esclusiva, seppure declinata attraverso una moltitudine di strumenti, la capacità di utilizzo e di pieno dominio (tale da fugare qualsiasi rischio di appiattimento creativo) dell’elettronica, un personale vissuto. Ciò nel quadro della nascita, dello sviluppo e del definitivo consolidamento di un linguaggio musicale «nuovo» (le virgolette sono d’obbligo, perché questa musica non si pensa priva di radici), pertinente ad una definita area continentale. Per questo motivo la sua musica è anche una sintesi delle sorti del jazz europeo (e ciò spiega la convinta adesione al manifesto estetico dell’Ecm). La sua specificità autoriale è tutta in un inconfondibile intreccio tra una (cercata) identità personale e il radicamento a dei luoghi, descritti attraverso l’evocazione di una personale «memoria emotiva». In questa interazione di luogo e di personalità, così solidamente espressa nella sua tipicissima produzione in album solitari è uno dei suoi aspetti autoriali più ricorrenti. Ma in ogni sua opera, nella lunghissima e vastissima carriera, che dal 1968 arriva con piena integrità sino ad oggi, risalta la sua capacità di versare in ogni nota il folkish tinge che ne ha caratterizzato da sempre la cifra espressiva, tipicamente europeo, eppure non tale da poter escludere altre forme di sintesi e di contaminazione. Ben ha fatto, dunque, Luciano Linzi, nel presentarlo, a ricordare in modo certo succinto, ma abbastanza completo e appassionato, la multiforme e variegata carriera.

Tutte queste caratteristiche si sono pienamente confermate nel concerto, che lo ha visto esibirsi in duo con il pianista norvegese Vigleik Storaas (che nel 1994 aveva registrato insieme a lui l’album Ecm «Nordic Quartet», con Karin Krog e Terje Rypdal) e che non in modo niente affatto casuale ha recuperato spunti e molti brani dal disco «Invisible Threads» (Ecm, 2018), tra cui At First Sight, Invisible Threads, Autumn Nocturne e Another Reflection, proponendo una musica fatta di filigrane gentili – fili invisibili, appunto – che esaltano l’interplay, intrecciando storie e latitudini diverse, con una peculiare e assorta leggerezza. Lo stesso Surman, che si è relazionato in modo gentile e affabile con il pubblico, si è richiamato al potere unificante della musica e di quei «fili invisibili», anche a fronte della difficile situazione mondiale.

La musica, come dicevamo, si è basata moltissimo sull’interplay e quello dell’affiatata coppia Surman-Storaas è parso davvero altissimo. Il fiatista, naturalmente, non ha più quell’incedere impetuoso e un po’ selvaggio che ne contrassegnava la condotta strumentale negli anni verdi, ma la sua «voce» è rimasta inconfondibile, venata di una speciale tenera dolcezza, particolarmente pastosa quando officia la melodia. Inoltre, il privilegio degli anni vi ha aggiunto delle velature brunite e un suono come di legno vecchio. Il pianista si è rivelato un partner ideale, nel formato, capace di assecondare e sottolineare, seguire e  all’occorrenza stagliarsi, con un tocco di notevole pulizia. Egli ha anche offerto alla scaletta un paio di brani piuttosto azzeccati. Gli aspetti ritmici non sono rimasti affatto impliciti, quindi non v’è mai stato alcun rischio di stasi ed il concerto è fluito via tranquillo, seppure non breve, concludendosi, prima di un bis, con una bella versione di Druid’s Circle.

Vigleik Storaas e John Surman

Un grande concerto, in definitiva, assai gradito dai presenti (molti, ma non moltissimi, in verità).
Sandro Cerini

 

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