Novara Jazz

Un luogo ricco di storia e tradizione dove la contemporaneità è di casa.

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La missione di Novara Jazz, realizzato da Associazione Culturale Rest-Art E.T.S e Comune di Novara è cristallina: «Radunare una comunità attorno all’esperienza della musica di ricerca in luoghi di interesse storico, naturalistico e architettonico, coniugando la valorizzazione dei prodotti enogastronomici del territorio alle politiche di tutela dell’ambiente, di educazione e di inclusione sociale», e non si può certo dire che questa XXI edizione non abbia colto nel segno!
Come la preparazione di un buon risotto, piatto principe della cucina novarese, richiede quel quid alchemico nel dosare gli ingredienti e cura nell’amalgamarli mescolando lentamente, aggiungendo di volta in volta la giusta quantità di brodo, così la direzione artistica curata da Corrado Beldì e Riccardo Cigolotti è il risultato di un paziente lavoro di ricerca, l’elaborazione di un costante intreccio di rapporti non solo musicali, ma soprattutto umani, che in quel di Novara dà luogo a piccole, grandi magie.

Myra Melford
Foto di Emanuele Meschini

Il nostro viaggio a Novara si è svolto, ahinoi, solo nelle ultime due giornate di festival, ma immergersi nello spirito della kermesse è stato spontaneo ed immediato, anche grazie all’atmosfera che Myra Melford ha saputo ricreare sotto i portici del nobiliare Palazzo Bellini, nel pomeriggio di sabato 8 giugno. La performance in solo della pianista e compositrice statunitense ha intessuto narrazioni che hanno tratto linfa dal linguaggio della tradizione musicale afroamericana per poi espandersi altrove senza cesure nette, semmai brevi pause che hanno espanso il respiro di ogni brano. Sono storie ora familiari, ora metropolitane, fatte di vita che scorre nell’intimità di una stanza, o nel traffico di grandi avenue. Melford ama scompaginare fogli di note scritte con l’improvvisazione, si muove con abilità felina tra differenti piani sonori con una compostezza ed un’eleganza senza pari. La sua musica, tanto cavernosa quanto materna, destabilizza e infonde quel senso di sana precarietà che sollecita al cambiamento, rifugge la stasi di pensiero, di cuore, d’intelletto.

The Elephant
Foto di Emanuele Meschini

Il pomeriggio è proseguito al Museo di Storia Naturale Faraggiana Ferrandi con le note oniriche di Um/Welt, progetto del contrabbassista Marco Centasso, mentre le audaci sonorità di The Elephant, trio composto da Gabriele Mitelli (trombino, voce ed elettronica), Pasquale Mirra (vibrafono, voce ed elettronica) e Cristiano Calcagnile (batteria, percussioni e voce), hanno acceso la Piazza del Broletto dando vita ad una rapinosa spirale di note costituita da inesplorate galassie elettroniche e remoti ritmi ancestrali. Entrambi i progetti sono sostenuti da We Start, prolifico centro di produzione musicale, che vede la direzione artistica di Enrico Bettinello, volto alla scoperta di alcuni dei più innovativi percorsi intrapresi da giovani talenti del jazz italiano. La serata si è poi protratta sino a tarda notte con il live dello Studio Murena ed il dj set di Broke One.

Guus Janssen
Foto di Emanuele Meschini

Domenica 9 giugno è iniziata di buon’ora ed in modo solenne con “Le direzioni del vento”, solo per organo del pianista e compositore olandese Guus Janseen nella Chiesa di San Giovanni Battista Decollato, seguito, al Broletto (Sala dell’Arengo) dalla performance del sassofonista portoghese Rodrigo Amado. Un vento che soffia da Ovest a Est e che attraversa epoche e stili quello di Janseen, anima dotata di un’inesauribile creatività. Tra l’incredulità dei fedeli, pardon, degli ascoltatori, il musicista ha spaziato dal prog al rock, con sentori di Beach Boys alternati a note più spiccatamente bachiane e beethoveniane. Nell’insinuarsi di inserti più cupi, lo strumento si è trasformato in una sorta di moog che ha ricondotto a colonne sonore di videogiochi anni Ottanta. E ancora si è percepita correre una locomotiva nel lontano Far West, ma anche il jazz di Jelly Roll Morton… Racconta Janseen di essere nato in una famiglia di sei figli, tutti musicisti, e di aver scelto l’organo perché ha compreso essere lo strumento che gli ha consentito di interpretare tutte le voci degli strumenti dei fratelli, distinguendosi al contempo.

Filippo Vignato
Foto di Emanuele Meschini

Nel pomeriggio è stata la volta di un altro excursus in solo, quello di All About Dreaming del trombonista Filippo Vignato, ormai di casa a Novara Jazz. Tra i marmi e le icone della Chiesa di Nostra Signora del Carmine, Vignato ha esplorato molteplici possibilità dello strumento sviluppando un viaggio di onde vibrazionali. Partito da un Pianissimo, con suoni accennati, appena percettibili, come se si trovasse in una stanza accanto, l’ascolto ha richiesto particolare attenzione. Successivamente, le note hanno preso via via maggiore spessore, addensandosi in un costante crescendo che ha toccato il suo apice con intensi suoni gutturali. La voce di Vignato ha «dialogato» con lo strumento stesso, ora come note che estendono le sonorità del trombone, ora in un giocoso call and response. L’inclinazione discendente dei toni ci ha portato lentamente alla conclusione di questo viaggio musicale e spirituale, riconducendoci all’essenza del suono attraverso la letterale decostruzione del trombone. Vignato lo ha smontato pezzo per pezzo, suonandone ogni singola porzione. Una perfomance artistica che ha offerto svariati spunti di riflessione attorno alla bellezza della semplicità, spesso offuscata da alienanti stili di vita.

François Houle 5tet
Foto di Emanuele Meschini

Note rarefatte hanno caratterizzato anche l’incipit di The Secret Lives Of Color, progetto del clarinettista François Houle in quintetto con Myra Melford al pianoforte, Gordon Grdina alla chitarra e oud, Joëlle Léandre al contrabbasso e Gerry Hemingway alla batteria che ha avuto luogo, alle 19:00, nella suggestiva Canonica del Duomo. Una lenta ed ispirata intro che ha aperto la pista a spericolate traiettorie sonore tra cui alcuni minacciosi tuoni si sono insinuati con un timing perfetto senza scoraggiare il pubblico entusiasta.

Savana Funk
Foto di Emanuele Meschini

L’onere e l’onore di chiudere questa ventunesima edizione di Novara Jazz è spettata alle buone vibrazioni dei Savana Funk che si sono esibiti di fronte ad un Broletto danzante!
A completamento del ricco cartellone, le innumerevoli attività che hanno letteralmente avvolto la città tutta: dai live di piccoli gruppi per le strade del centro, al coinvolgimento dei giovani talenti della Scuola di Musica Dedalo; dal contest delle vetrine a tema, ai cuscini multicolor a disposizione degli ascoltatori realizzati dai creativi di Space In The Place – Collettivo Cicinin, e ancora la mostra dedicata all’opera di Carlo Verri, un viaggio fotografico in musica lungo venticinque anni…
Novara Jazz è come un buon vino, migliora anno dopo anno.
Eleonora Sole Travagli

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