Marco, sembrava che dovessi partire piano e invece eccoci a contare un sacco di cose fatte…
Be’, intanto l’entusiasmo del neofita, il giocattolo nuovo e una passione da sempre… Nel mezzo, il prendere le misure con il mercato e le sue regole, che scopri solo facendo. Partendo dall’assenza di titoli disponibili per il vinile, era necessario creare in tempi relativamente brevi un pacchetto minimo di pubblicazioni, per rientrare in quel mercato. E quindi ora il catalogo si è arricchito di ventiquattro vinili, che diventeranno trenta a breve, e di una quarantina di titoli in cd, tra novità e ristampe. Molti titoli, a mio parere preziosi, non erano più disponibili e andavano ripubblicati, come pure qualche vinile mai apparso in cd e viceversa. Considera che cinque anni fa ero soltanto un forte consumatore di musica, prevalentemente in vinile. Occuparsi di un’etichetta è stato un bel salto nel buio, in un momento in cui il digitale prende spazio e il prodotto fisico arretra. Come sai, professionalmente mi occupo di editoria, che con la musica qualche analogia ce l’ha. In entrambi i settori si stampa troppo, ci sono troppi libri e troppi dischi che comportano un’obsolescenza altrettanto rapida. Se il tuo disco – o un libro – non funziona subito, ce ne sono altri in coda a spingere. Una cara amica, responsabile marketing di una grande casa editrice, al mio annuncio di aver rilevato un etichetta discografica, con una perfida risata mi ha detto: «Complimenti, sei riuscito a infilarti in uno dei pochi settori più in crisi dell’editoria!». Sul back catalogue sto facendo un lavoro secondo me necessario: ripartendo dai nastri originali, non più dai data e dagli ultimi missaggi di Sergio ma ricominciando da capo, dalle bobine. Sono stato fino a qualche anno fa un acquirente abbastanza compulsivo di vinile e sto cercando di produrre vinili di qualità, ripartendo dal materiale originale. Tenuto conto che mi sono dato un obiettivo assai poco «business», perché non ho iniziato questa attività esclusivamente per cavarne soldi, questa cosa sposta un po’ la prospettiva. Commercialmente sarebbe stato molto più facile e redditizio pubblicare le cose per come stavano, in confezione a bauletto semplice, e a prezzo basso. Invece, mi è capitato di imbattermi in brani inediti della stessa session, scartati perché è più facile vendere i dischi singoli che i doppi. Dove ha senso – e quasi sempre ce l’ha – le tracce le ho aggiunte. È successo con i due Joe Henderson, con gli Sphere, con Kenny Barron e Buster Williams. I titoli cambiano, i dischi diventano «The Complete etc.».
Sono rimasto sinceramente impressionato dalla qualità dei vinili.
Una volta restaurati i master, c’è un grande lavoro di Rinaldo Donati che con Fabrizio Fini cura maniacalmente i missaggi. Rinaldo è a bordo fin da subito. Ritorniamo a più riprese sulle registrazioni e valutiamo alternative e correttivi. Una volta è successo che, dopo l’arrivo del test pressing, nel riascoltarlo con attenzione lo abbiamo ritenuto migliorabile. Un discorso in più riguarda la qualità della produzione di Pallas, che per me rappresentava un traguardo. Inizialmente da loro sono stato respinto, pur avendoli interpellati subito, e sono stato alla fine accolto soltanto dopo molte richieste, ripetute anno dopo anno; posso soltanto dire che offrono davvero una qualità extra-terrestre. Lavorare con loro costa tanto, ma ti restituiscono pari qualità. Te ne accorgi prima che arrivi la musica, quando la puntina cala sul solco vuoto e c’è silenzio, non un rumore. E una dinamica che pochi vinili hanno. Anche il cutting è di livello elevatissimo. Le loro provinature hanno un livello di approfondimento tecnico incredibile: ti scrivono suggerendo specifiche indicazioni tecniche sul da farsi, quanto a equalizzazione e livelli, per esempio, e i correttivi che ci vengono indicati noi li adottiamo.
Quindi esiste una forte componente personale in queste scelte?
Nella scelta dei collaboratori, del suono e della confezione, assolutamente sì. È un po’ la deformazione professionale del voler dare una forte identità al prodotto. Mi piacerebbe che chi si imbatte in un disco della Red pensasse «È diverso» o comunque non restasse indifferente. Larga parte degli sforzi si è quindi concentrata sulla musica e sul prodotto, così in questa fase di rilancio non è restato nulla per pubblicità e ufficio stampa. Il percorso di riscoperta della Red e del come fare le cose è stato quindi più lungo, ma per fortuna la cosa sta funzionando. Ricevo delle risposte positive dai distributori, e questo mi fa piacere. Naturalmente i numeri del disco non sono quelli del passato, perché non esiste più quel mercato lì. Una cosa che mi ha stupito, piuttosto, da vinilista quale sono, è che il cd resista, e lo faccia anche in modo significativo. Un’altra cosa di cui sono contento è di certe scelte, che mi verrebbe da definire azzardate, nel produrre certi dischi come «Impressions», dell’Ethnic Heritage Ensemble. Sergio mi ha chiesto se fossi forse pazzo, perché «Quel disco è un casino…», ma a me piaceva moltissimo e alla fine ha funzionato, esattamente come il disco di Johnny Dyani, «African Bass». Secondo me meritavano di essere fatti, come testimonianza di un periodo, di una storia. Esistono ovviamente sorprese negative: mi ha stupito verificare che il piano solo abbia, sostanzialmente, perso un pubblico, anche su titoli imprescindibili.
Come hai messo a punto il metodo?
Abbiamo deciso di non volere un prodotto indifferenziato e di provare ad alzare l’asticella. Le foto di copertina, nei vinili, sono stampate a parte e incollate a mano. Voglio farti vedere una cosa che credo possa farti capire meglio, in concreto… Questa copertina che vedi (di «Blues For Red» di Paul Bley, n.d.r.) è stampata su carta uso mano e la pennellata di azzurro che vedi sul pianoforte è fatta ad acquerello, copia per copia: è sicuramente una roba da pazzi, ed è l’estremizzazione di quella dichiarazione di cura di cui ti parlo. Naturalmente, se ne sono accorte forse tre, quattro persone. Fa parte anche dell’essere stati parte di un grande fenomeno culturale come può essere stato quello dell’alta fedeltà, che ora non esiste più. Quando mi sono messo alla ricerca di ulteriori materiali su Henderson, sapevo che alcuni erano stati pubblicati da Musica Jazz, ed erano su nastro DAT. Ho passato i DAT a Rinaldo, affinché aggiungesse gli altri pezzi e mi sono sentito dire di no, perché sembrava un’altra presa di suono, in un altro ambiente, con un altro strumento. È finita che abbiamo dovuto risalire, anche per le tracce in più, ai nastri originali. L’approccio è questo: preferisco fare qualcosa che costi di più, richieda più cura, ma offra un risultato certo, anche a costo di dover fare un disco in meno all’anno. È lo stesso discorso che facevamo a proposito di Pallas.
Potevi comunque contare su un patrimonio archivistico integro?
Ho recuperato tutti i nastri da Sergio, fino al periodo in cui sono definitivamente decollate le produzioni in digitale, diciamo sino al finire degli anni Ottanta. Abbiamo fatto un bel lavoro, redigendo un documento che elenca tutti i master suddivisi per formato (bobina, DAT, VHS, Umatic, master digitali, eccetera). È un grande impegno, ma è anche molto interessante lavorare sul suono, spalla a spalla con l’ingegnere del suono. Lavoro, a volte, molto lungo e costoso, fatto di restauri anche su piccoli tratti (per esempio, dal vivo, quando ti sembra che il musicista sia sceso a suonare in cantina e devi correggere soltanto lui, non gli altri, non l’ambiente). Però, questa fase del lavoro è un piacere, ha grande fascino.
Quanto ha contato il fatto che tu fossi già «dentro» l’etichetta?
Tantissimo, tutto. Questa avventura non avrebbe avuto senso con altre etichette e non saremmo qui a parlarne. Conosco Veschi da quarant’anni e ci ho lavorato per altrettanti, pur se con il solo ruolo di grafico. L’assidua frequentazione con Sergio, anche extra-musicale, ha creato un legame profondo con la persona e indistinguibile dall’etichetta. Sì, è stato importante essere familiare al percorso della Red, conoscerne la «personalità», le storie e – anche se sembra un’affermazione eccessiva – avere stima dell’etichetta. Così l’ho acquistata e posso dire che c’è stata una grande attenzione reciproca: da parte mia, perché capivo che per Sergio era un distacco importante, che necessitava dei giusti tempi di maturazione. Ma anche da parte sua, perché ci teneva che la Red Records finisse in buone mani. Ha ricevuto parecchie offerte, prevalentemente dall’estero, come mi è stato raccontato dai diretti interessati, ma ci teneva che l’etichetta restasse in Italia. Gli sono molto grato, come del fatto che riconosca che sto facendo un buon lavoro.
Come stai lavorando?
Il lavoro di recupero del catalogo storico, dal restauro e nuovo remix, viaggia su un canale a sé, parallelamente all’attribuzione delle note di copertina, relative traduzioni, copertine e confezione. Vengono preparati con largo anticipo anche i materiali audio per la stampa del vinile, dei cd e dei file in alta risoluzione per il digitale. Da lì scegliamo cosa pubblicare anno per anno e in quali formati. Questo ci permette dei cambiamenti sul piano editoriale anche in corso d’opera, avendo già tutto pronto per la duplicazione. Ci è successo di avere intoppi di produzione inaspettati e relativi ritardi. E anche di poterci dedicare se capita (e capita) di dover correre per una produzione interessante, non preventivata. Messo così, sembra un processo ordinatissimo e molto efficiente. In realtà non lo è affatto. Tutti noi facciamo un altro lavoro, e questo è l’unico modo per far fronte alle cose, probabilmente ampiamente migliorabile. Con preventivata incoscienza, non ho voluto guardare i conti, dandomi un arco temporale di almeno quattro, cinque anni per trarre poi delle conclusioni. Questa è ancora la fase «del fare». Partecipo a poche fiere, ma servono a comprendere se il lavoro che fai «arriva» e a capire il tuo target. È inevitabile che il produttore scelga e proponga ciò che gli piace, ma non sempre ciò che intriga te è in linea con le richieste dei tuoi clienti. Sui titoli distanti da me, tendo a confrontarmi anche con i distributori, per capire i perché di un buon risultato o di un esito più deludente. Oltre ovviamente che da Sergio Veschi, un grande aiuto l’ho avuto da Nils Winther della SteepleChase, con cui c’è un bellissimo rapporto e un confronto quasi settimanale.
Come funziona la tua «squadra»?
La struttura imprescindibile è il mio studio di grafica, dove tutti si sono fatti coinvolgere con entusiasmo. Tommaso Belletti si è preso carico, con grande dedizione, del digitale e della comunicazione, in tutti i suoi aspetti; mia figlia Margherita, che di mestiere fa il Digital Marketing Manager, oltre a quello si occupa dell’e-commerce e del sito; poi c’è il nostro store manager, Cem Cansu, molto versato nel problem solving, un po’ il nostro Mr. Wolf. Mauro Santoro si occupa della cura editoriale di qualunque cosa vada in stampa; Anna Luini Lodigiani mette ordine nei conti. Michele Ferrari cura Sounding Pictures; Daniele Warm dà vita ai miei storyboards nei filmati promo della Red. Rispetto al quadretto idilliaco di passione e grandi professionalità, va detto che quando arriva dalla Germania il carico di vinili siamo tutti quanti a romperci la schiena a scaricare il camion.
Cosa bolle in pentola?
Le pubblicazioni del 2025 saranno: Gato Barbieri «Standards Lost and Found Vol. 2», Gerry Mulligan «Nocturne», Mani Padme «Voo», Michele Polga «Doors» (con Alessandro Lanzoni, Gabriele Evangelista e Bernardo Guerra), Tommaso Perazzo, Buster Williams e Marcello Cardillo in «Portrait of a Moment». Le ristampe prevedono, per ora, Kai Winding «Bones», con Piana, Pieranunzi, Tommaso e De Piscopo; Walter Davis Jr. «A Being Such as You» e Steve Grossman «My Second Prime». Ho in corso delle trattative per acquisire importanti master storici, ma per ora non posso dirti di più, perché non sono completamente definite. Un pianista con il quale intraprenderemo un percorso di più registrazioni è il giovanissimo Hakan Bashir, diciannovenne turco che mi era già stato segnalato fin da adolescente. Debbo dire che sono estremamente soddisfatto del disco registrato, che uscirà nei prossimi mesi e nel quale è accompagnato da Bernardo Guerra e Michelangelo Scandroglio. Voglio senz’altro continuare nella ricerca di registrazioni storiche, per la necessità di dare alla Red Records quel respiro internazionale, imprescindibile alla sua sostenibilità. Infine, con l’anno nuovo usciranno due nuovi volumi di Sounding Pictures, il primo in aprile con le immagini di Paola Bensi e, successivamente, quello sul lavoro di Luigi Zanon.