«Il jazz incontra l’hip-hop»: Francesco Cavestri con Willie Peyote a JazzMi mercoledì 31 ottobre

di Lorenza Cattadori

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Ho proprio delle belle pretese. Quando mi arrivano i comunicati stampa di alcune rassegne jazz illuminate che annoverano in palinsesto nomi per me assolutamente nuovi, soffro moltissimo e così mi precipito a saggiare, ascoltare con cura, abitare e conoscere. E non si tratta solo di fare il genitore pseudo-evoluto che ascolta magari Mike Portnoy, Matt Shadows o financo Ernia mentre cucina, per sentirsi più vicino alla propria prole… Per me qui si tratta di approfondire, comprendere e infine apprezzare. Qualunque significato abbia questo verbo.

Per questo motivo, intervistare qualche mese fa, proprio per Musica Jazz, una mente brillante e un talento puro come quello del giovanissimo pianista Francesco Cavestri,  è stata a un tempo una rivelazione e un sollievo: scoprire la sua profondissima volontà di unire il jazz ad altre meravigliose musiche contemporanee [e nere] come l’hip-hop mi è apparso un approccio sincero e infinitamente interessante. Ora che – a distanza esatta di un anno – il festival JazzMi lo ripropone in concerto il 31 ottobre alla Triennale di Milano [ via Alemagna 6, ore 21] con un’altra personalità di spicco come il rapper [e ottimo cantautore] Willie Peyote, desideravo sapere e farvi sapere molto di più.

Ecco le loro voci.

Ben ritrovato, Francesco!!! Puoi dire a Willie che sono una che ha fatto più di duecento chilometri per ascoltare un suo concerto? [ridono entrambi]. Vorrei anche sapere come mai si sia ficcato in questo ginepraio di jazzofili quando avrebbe potuto stare bello tranquillo…

[Willie]: Perché me lo hanno chiesto! Partiamo dalle basi! No, dai, a parte gli scherzi: mettermi alla prova mi piace, così come mi piacciono le cose nuove quando ho a che fare con musicisti bravi. Trovo bellissimo poter provare a sentirmi all’altezza e quando mi hanno proposto questa collaborazione ho detto di sì con grande gioia… perché poi fa curriculum [ridono ancora].

Ma certo! E poi, diciamocelo, Francesco non è esattamente una «vecchia gloria» del jazz, detto con rispetto. Credo anche che con lui tu possa scoprire sfumature della tua musica e nel contempo suscitarne altrettante dal suo talento.
[W] Esatto, e oltretutto in un contesto talmente familiare… Tutto è nato davanti a una zuppa berchiddese a Time in Jazz, il giorno dopo un mio concerto, a un evento che si svolgeva in una chiesa campestre a Berchidda, ed è stato talmente piacevole l’incontro con Francesco che non avrei mai potuto dire di no.

Lo immagino, poi conoscendo il tuo percorso artistico mi viene da pensare che tu abbia sempre prospettive aperte nella tua arte. Non mi stupisce affatto questo connubio, e anzi rafforza il pensiero che avevo verso te. Sono davvero molto soddisfatta di questo vostro incontro: celesti corrispondenze musicali che coabitano e che creano una malia, e molta curiosità!

[Francesco] Certo, questo è il nostro intento. Parte tutto da questo incontro, mi trovavo al Time in Jazz con il mio trio, che riproporrò in Triennale, dove presento il progetto «Il jazz incontra l’hip-hop» e dunque non avrebbe potuto esserci ospite migliore, in Italia e non solo…

[W] Ma non t’allargare!!!

[F] No, dai, Willie, il feeling è nato subito perché io ti chiesi «Ma che ci fai qui in un contesto di jazz?» e sai, tu viaggi su club e palchi di un certo livello – parlando di quantità di spettatori – ma mi avevi risposto che in realtà l’hip-hop, che è il tuo genere prediletto, discende direttamente dal jazz e con il jazz ha veramente moltissimo in comune.

Praticamente la stessa tua attitudine! Vedi intervista…
[F] Certo, e dunque è nata subito una forte complicità d’intenti e poi la musica segue sempre, unifica e abbraccia. Anche l’anno scorso, sempre nell’ambito di JazzMi, avevo presentato un lavoro incentrato su queste tematiche e poi alla Casa del Jazz a Roma e in altre situazioni: ma è decisamente la prima volta che lo faccio con un ospite che veramente farà raggiungere a questo mio lavoro una dimensione autentica. Tutto assumerà un sapore più vero. Però vista la serata [l’avevo definita «Hallowillie» e abbiamo riso molto, n.d.A.] saremo tutti belli travestiti!

Non posso perdere il momento, allora! Come sarà strutturato lo spettacolo?
Il concerto sarà in trio con me al piano, Riccardo Oliva al basso e Gianluca Pellerito alla batteria. Willie sarà ospite e partiremo con un momento strumentale a cui lui si aggiungerà sul palco; sarà un tributo al mondo dell’hip-hop statunitense, che è quello che ha dato vita alla percezione dell’incontro con il jazz, con citazioni da Robert Glasper e Kendrick Lamar che hanno creato questo filone di incontro tra i due generi; si tratterà anche di Herbie Hancock, naturalmente, ed è un mondo a cui noi siamo riconoscenti; ci saranno brani dal repertorio di Willie e poi chiuderemo il concerto con un pezzo a cui sono molto legato, perché si tratta dell’inedito che abbiamo realizzato insieme a  Willie: un brano originale pensato apposta per questa occasione e teniamo particolarmente a questa presentazione. Il concerto pare sia già sold out – ma forse si può ancora provare a prenotare – e ne siamo orgogliosi. Ci saranno anche delle grafiche interattive digitali che reagiranno con la musica suonata,  dando origine a disegni molto affascinanti.

Per concludere, vorrei che mi parlaste delle sensazioni che provate suonando insieme in questa vostra prima collaborazione. Quali sono gli sguardi, quali sono i pensieri…
[W] Secondo me salta fuori appunto quello che dicevate poco fa, e cioè che ci sono molti più punti di contatto, rispetto a quello che ognuno possa immaginare. Poi ovviamente il rap che faccio io è un genere che guarda più al passato che al presente, quindi sicuramente ci sono moltissimi collegamenti, ed è anche stato più facile del previsto trovare un punto d’incontro sugli arrangiamenti dei pezzi miei, già editi, che abbiamo deciso di portare dal vivo per questo evento. Quindi io credo che quello che risulta a me, appena finite le prove, in generale risulterà a chiunque ascolti il nostro concerto dal vivo: ossia la naturalezza con la quale i due mondi si sono incontrati, come se fossero fondamentalmente fratelli.

[F] E infatti il mio concerto l’anno scorso si chiamava «Jazz-Hip-Hop, due generi fratelli»! Quindi vedi che comunione d’intenti?!
Lorenza Maria Cattadori

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