Ciao Carolina, benvenuta a Musica Jazz. Parliamo del tuo nuovo singolo Nina, che non è solo una dedica alla tua splendida figlia, ma è molto altro. Ce ne vorresti parlare?
Questa canzone in effetti viene molto prima della nascita di mia figlia. Nasce nel 2018 ed è una storia molto importante per me. Sicuramente attinge dalla mia vita personale, ma si rivolge poi a tante storie ascoltate e sentite; penso che sia una storia molto comune e proprio per questo degna di essere raccontata e impersonificata in questa Nina. Il nome del personaggio mi ispirava esteticamente. Non sono né la prima né l’ultima perché tanti autori e tanti cantautori italiani prima di me si sono fatti trascinare da questo nome, dal carisma che rappresenta. Mi sa di nome molto forte, lucente, carismatico. Mi sa di cose belle. Tant’è che, anni fa in tempi non sospetti, mi dissi: «se un giorno avrò una figlia la chiamerò Nina». Il mio compagno mi ha accompagnato con questo nome perché anche a lui piaceva tantissimo. La storia di questa Nina è la storia di una giovane ventenne nel momento di passaggio dalla vita adolescenziale alla vita adulta e nel compiere questo passaggio si sente due cuori: da una parte è attratta dalla luce di tutto ciò che è nuovo, diverso, che la chiama a sé e le invoca attenzione e dall’altra parte timori, paure: la paura del nuovo, la paura di abbandonare la propria terra, il proprio nido familiare e lasciarsi andare. Il pezzo è stato un po’ un incoraggiamento alla me ventenne, a tutte le ventenni che vivono questa cosa. Ho cercato di scrivere una canzone che fosse lo specchio degli specchi, insomma. Si sa che la canzone funziona quando ci si può rispecchiare, ci si può identificare, ci si può ritrovare. Io spero che ognuno abbia potuto trovare o troverà una Nina dentro di sé e possa portare un pezzo di questa storia con sé, che possa fargli da faro guida, che poi è accaduto nel mio presente: ho scritto questo pezzo e ora ho deciso di pubblicarlo e finalmente metterlo alla luce, forte della nascita di mia figlia, perché appunto mi è sembrata l’occasione migliore per poterlo dedicare a una nuova giovane anima in cerca di guida. Questa canzone vuole essere una guida per lei, alla Nina Grande, la donna del futuro, che possa appunto sentirsi incoraggiata e spinta a conquistare la sua vita libera e autonoma.
Questo brano è un invito a spezzare i legami con il passato per trovare una via personale. Tu ci sei riuscita?
Questa domanda è un domandone. Io ci sono riuscita, credo di essere riuscita a vedere le cose, quindi a non rimanere a galla e a entrare in profondità di ciò che significa stare al mondo secondo me. È un cammino lungo, complesso e penso che non si smetta mai di lavorare. Il grande conflitto tra passato e presente penso che sia un affare di tutti gli esseri umani. C’è chi ne è consapevole, chi no, chi ci lavora più velocemente e chi ci mette di più. Bisogna rimboccarsi le maniche ed essere consapevoli che chi vuole fare crescita personale deve occuparsene e trovare uno spazio da dedicarci costantemente. È un cammino che va vissuto, lungo e probabilmente eterno, però io penso di aver fatto grandi passi con la visualizzazione e l’osservazione del mio passato, di come riverbera nel presente e di essermi trovata uno spazio di autonomia in cui essere donna, prendendo per mano la bambina e facendola stare con me, perché guai a far scomparire il bambino che è in noi. Deve starci a fianco, fa i capricci ogni tanto e bisogna fargli le carezze, dargli la mano e dire: «dai, ce la puoi fare e puoi vivere il tuo presente in libertà». Quindi io ci lavoro costantemente con questa cosa; ho deciso di abitare la mia terra, non me ne sono mai veramente andata, però la mia attrattiva verso il nuovo penso di coltivarla con i viaggi, tutte le esperienze artistiche mi portano ad andare via, e continuo poi a coltivare la mia presenza qui in maniera adulta e consapevole, sempre aperta e disponibile ai cambiamenti della vita.
Artisticamente, invece, quali sono i modi per trovare un proprio percorso personale, per non farsi condizionare dagli altri?
Penso che il modo per non farsi condizionare è, come dico sempre ai miei studenti in Conservatorio, porsi sempre la domanda: chi sono?, cosa mi piace? e questa cosa me l’ha insegnata mio padre: cercare la propria autenticità, la propria verità. Dopo di lui me l’ha insegnata il mio maestro Gianni Lenoci: tendere all’inaudito e, soprattutto, provare ad essere sinceri. Essere unici è difficile, l’unicità è cosa rara, soprattutto al giorno d’oggi, visto che noi siamo venuti dopo tanti altri e tante cose sono state fatte. Come diceva Lenoci: «è stato fatto tutto». Io sono un po’ più moderata nella visione, penso che si possa sempre cercare di tendere verso qualcosa di nuovo e non esplorato, però è una ricerca costante. Quando mi siedo al piano, anche io sento tante voci che vogliono essere assecondate, tanti giudizi, il mio in primis, e i tanti condizionamenti del voler compiacere gli qualcuno, volersi far riconoscere. Penso che si debba accettare il bisogno di essere riconosciuti, fa parte di tutti noi. Il punto è metterlo a cuccia e lasciare più spazio alla verità del “chi siamo”, che è una domanda così semplice e così complessa per poter dare una risposta esaustiva. Il modo, quindi, è sentirsi liberi nell’atto creativi, sentirsi identificati in maniera pura, in quello che si scrive, a costo di non essere capiti, a costo di fatica, a costo di sentirsi parte di una “nicchia”, termine che non tollero molto, perché è vero che c’è una cultura di massa, un mainstream, e poi una controcultura e guai che non ci sia, però appunto deve avere un suo spazio dignitoso e non un angolo polveroso. Deve avere la dignità di poter essere ascoltati e avere un pubblico degno, corposo, perché no? Questo dipende anche dal pubblico, perché abbiamo bisogno di curiosità e menti pensanti che escano fuori da questa globalizzazione devastante e che in maniera consapevole scelgano di incuriosirsi a qualcosa di nuovo. Quindi è un concorso di consapevolezza, dalla parte del creativo e dalla parte del fruitore.
Carolina, questo singolo anticipa un album?
Ni… questo singolo viaggia a prescindere. Se sarà dentro un album non lo so, ma sicuramente ci sarà un album nella primavera prossima, nel 2025. È un nuovo disco ricco di nuova musica, nata in un momento molto fertile della mia vita, che sono i mesi della maternità, in cui sono stata di più a casa e in quel tempo ho creato tantissima musica. Questa musica vedrà la luce in questo disco nel 2025. Nina viaggia da sé, perché fa parte di un altro periodo della mia vita e questo era il suo tempo, finalmente è nata, è di tutti e prescinde dal disco. Poi, appunto, non so esattamente se lo integrerò nel disco, ma comunque insomma, un disco ci sarà.
Tu sei un’arrangiatrice eccellente e hai anche diretto l’orchestra di Sanremo. Sei una valente compositrice e interprete. Qual è stato il momento più difficile della tua carriera?
Sicuramente non è stato un momento gradevole quando mi è stato tolto un incarico di direzione d’orchestra qualche anno fa. Però in generale, al di là di quel momento, non sento di avere incontrato grandi difficoltà. Semmai c’è un impegno costante da porre in tutto quello che faccio, perché riuscire ad ampliare il proprio raggio d’azione con la musica che faccio io – che è una musica contaminata che difficilmente trova il suo spazio ben preciso, una musica non per playlist di Spotify, per intenderci – prevede un investimento costante di energie, di forza di volontà, di luce, di fuoco, di economia. Quindi mette a dura prova il proprio coraggio, la propria audacia, la propria volontà. Ma io non mi faccio intimorire, sento che la luce di quello che ho da dire mi chiama e cerco il mio spazio sempre di più. Certo, mi piacerebbe sentire che c’è più spazio per artiste come me in questa nazione, invece a volte mi sento spinta verso il mercato estero perché è più disponibile alla ricerca musicale.
E, ancora, quale ruolo ti piace di più?
Mi piace di più il ruolo da performer. Mi piace stare sul palco a cantare, a suonare la mia musica.
Hai studiato tanto e hai un background culturale considerevole. La musica è sempre appartenuta al tuo mondo. Quando hai iniziato a fare delle scelte artistiche cosa ti ha condizionato maggiormente?
Come accennavo prima, il condizionamento principale, diciamo che è la poca predisposizione al nuovo che il mercato musicale italiano ha. Molto spesso ho sentito che la mia musica fosse troppo lontana dalle esigenze e i bisogni del music business italiano, tanto da pensare di proiettarmi verso l’estero, luogo dove invece sento di essere compresa e capita in maniera molto più fluida. In Italia mi sono costruita un pubblico grazie ai live, tanti live, a una lunga gavetta, al passaparola e grazie ai dischi che hanno funzionato per tutte quelle orecchie che erano pronte a recepire qualcosa di diverso.
L’inizio della tua carriera ti ha visto come One Girl Band. Oggi come si svolgono i tuoi live?
I miei live hanno visto diverse evoluzioni, diciamo da one girl band, quindi dal solo all’orchestra sinfonica e in realtà continuo a lasciare aperte tutte le opzioni. Ho ripreso recentemente a portare avanti il solo. Il disco precedente, «Il dono dell’ubiquità», l’ho portato in giro dal vivo in sestetto e in trio, ma a un certo punto ho sentito l’esigenza di ritornare nella mia vecchia casa creativa, che è il solo, che mi dà l’opportunità di entrare, uscire dalla musica, costruire castelli e grattacieli, salire sulle nuvole e poi scendere in picchiata come voglio, quando voglio e mi permette di essere espressivamente molto libera. D’altra parte, tengo a mente quanto l’interplay, la collaborazione e la musica d’insieme siano preziose in musica, tant’è che ho messo su un coro che si chiama Corolla, al quale tengo molto perché mi permette di sviluppare tutta la mia creatività corale e il mio approccio corale alla voce, così come porterò avanti il mio progetto Pangea, per orchestra sinfonica.
Il live del nuovo disco è ancora in via di sviluppo sulle scelte; probabilmente porterò in giro in diverse formazioni: rimango aperta sempre a i due estremi, dal solo all’Orchestra Sinfonica.
Qual è la tua missione come artista?
La mia missione come artista è quella di risvegliare la curiosità degli ascoltatori verso qualcosa di diverso dall’uniformità che ci viene proposta. Sento di voler credere che c’è spazio per una Pangea musicale, così come la concepisco io, dove c’è spazio per una musica libera da etichette, da condizionamenti, da incasellamenti e che possa coesistere e trovare una sua armonia. Spero di poter avere uno spazio sempre più ampio, tanto da trainare poi tante altre artiste e artisti che come me vogliono sentirsi liberi.
Quali sono i tuoi prossimi impegni?
I miei prossimi impegni prevedono la produzione del mio nuovo album, in fase già attiva, e quindi continuerò a ottimizzare e programmare la produzione dei nuovi brani fino alla pubblicazione, come avevo anticipato prima, in primavera e alcuni workshop corali, “orchestrare la voce”, che puntano molto punto sulla coralità e sulla potenza della voce insieme ad altre voci. A dicembre, invece, tornerò dal vivo con Pangea, un progetto di world music scritto per orchestra sinfonica.
Alceste Ayroldi