Improvisation/Composition: Joëlle Léandre al PARC di Firenze

L'arte dell'improvvisazione

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Firenze, PARC

25 aprile

Improvisation/Composition era il titolo opportunamente scelto da Joëlle Léandre per il workshop da lei condotto al PARC (Performing Arts Research Center) di Firenze nel quadro delle iniziative di Toscana Produzione Musica, nella circostanza in collaborazione con Pisa Jazz e Fonterossa Records. Quattro giornate di lavoro che hanno coinvolto tredici musicisti di diversa estrazione, accomunati dall’obiettivo indicato e perseguito dalla contrabbassista francese: realizzare forme di improvvisazione non idiomatica, scevra da sovrastrutture e intellettualismi, , veicolo di espressione non solo del proprio bagaglio culturale, ma anche dell’essenza e delle emozioni dell’individuo. Improvvisazione anche concepita come composizione estemporanea, frutto dell’empatia, dell’ascolto reciproco e di una visione collettiva del fare musica, che possa così condurre alla graduale costruzione di strutture partendo da un semplice spunto o da una scarna traccia. In poche parole, quello che Léandre definisce giustamente arte dell’improvvisazione, accompagnata dall’accettazione del rischio di possibili inciampi ed errori.

Contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, Léandre non ha predisposto un’esibizione collettiva sotto la sua direzione, né tantomeno una conduction secondo i canoni dettati da Butch Morris e poi applicati dalla collega contrabbassista Silvia Bolognesi, presente in sala come titolare di Fonterossa e «complice» dell’iniziativa. Al contrario, Madame Léandre ha suddiviso la performance in otto sintetiche sezioni riservate a piccole formazioni (duo, trio, quartetto e settetto), limitandosi – seduta tra il pubblico – ad osservare ed ascoltare gli interpreti con amorevole partecipazione.

Concepito per sax soprano (Andrea Mancini), contrabbasso (Tito Mangialajo Rantzer), batteria (Filippo Maria Abrate) ed elettronica (Francesco Giomi, direttore di Tempo Reale), il primo episodio prende forma grazie alla progressiva stratificazione di cellule e all’impiego di sottili dinamiche in cui – prima di approdare a un climax collettivo – giocano un ruolo importante anche il rapporto con il silenzio, il soffiato, le corde e le pelli sfregate.

Segue un trio formato da Neri Pollastri (sax soprano), Susanna Ossola (voce) e Federico Giolito (contrabbasso). Qui i vocalizzi evocano climi ancestrali e culture altre, sostenuti da tocchi percussivi sul corpo del contrabbasso e dalla dialettica del soprano, che imbastisce una sorta di controcanto.

È poi la volta di un duo tra sax soprano (Andrea Mancini) e vibrafono (Omar Cecchi). Con parsimonia e massima attenzione alle dinamiche il primo distilla cellule melodiche sulla delicata trama intessuta dal secondo.

Omar Cecchi (vibrafono) e Andrea Mancini (sax soprano)

A un quartetto è affidato il quarto capitolo della narrazione: le voci di Susanna Ossola e Monica Agosti, la tromba di Marco Iacoboni e il piano di Matteo Rossi. Le voci contrappongono fonemi e accenni di melodia, integrati dalla tromba e sottolineati da radi accordi in un continuo gioco di aggregazione e disaggregazione.

L’episodio successivo vive sul contrasto proficuo tra i violoncelli di Dagmar Bathmann e Milena Punzi, nella contrapposizione tra arcate secche, stridenti e un generoso pizzicato al quale Bathmann sovrappone frammenti cantati in tedesco. Ne risulta un dialogo coeso e armonioso.

Milena Punzi e Dagmar Bathmann

La violoncellista e vocalist tedesca è protagonista anche nel sesto capitolo, costruendo climi espressionisti che si innestano sul liquido flusso creato da un vibrafono libero e discorsivo, e un sottofondo elettronico fatto di sottili bordoni, frequenze e interferenze radio, vibranti pulsazioni.

Il settimo capitolo è animato dalla feconda dialettica tra i due sopranisti, fatta di botte e risposte, vivaci rimpalli di spezzoni e di frasi, efficaci unisoni, in cui la tromba con sordina si sforza di inserirsi con un’appropriata azione di contrasto e disturbo.

Andrea Mancini e Neri Pollastri )sax soprano) con Marco Iacoboni (tromba)

Infine, l’improvvisazione conclusiva è condotta da un settetto formato dai due contrabbassi, batteria, piano, violoncello (Punzi), voce (Agosti) ed elettronica. Un continuo pulsare di idee in cui emergono a turno i bordoni ronzanti prodotti dagli archi, i giochi fonetici della voce, i secchi blocchi di accordi del piano, il flusso continuo, ma discreto e funzionale, dell’elettronica e la scansione regolare della batteria che nello scoppiettante finale si produce in imperiose rullate.

Il settetto

Per tutti e tredici i protagonisti si è trattato di un’esperienza liberatoria, quasi catartica. Senza voler banalizzare, la si potrebbe definire un’applicazione pratica del vecchio detto «impara l’arte e mettila da parte». Per il pubblico presente, la loro esibizione è stata una fonte di puro godimento, a dispetto di tutti i pregiudizi sull’improvvisazione come prassi astrusa ed ermetica. Nell’espressione di Joëlle Léandre, salita sul palco per il saluto e il ringraziamento finali, si coglieva la gioia di aver trasmesso un messaggio di consapevolezza e lungimiranza.

Enzo Boddi

Foto cortesia di Toscana Produzione Musica

 

 

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