Duo Craig Taborn e Peter Evans al Carambolage di Bolzano

di Giuseppe Segala

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Protagonisti di assoluto rilievo nella musica di oggi, che alimentano con lucida tempra esplorativa, Craig Taborn e Peter Evans non sono avvezzi a descrivere le proprie avventure artistiche con parole altisonanti, come spesso si usa oggi. Al contrario, la loro indole personale è piuttosto riservata. Si sprigiona però senza remore nella musica, sul palco e nella sala di registrazione, rompendo gli ormeggi di stili e generi, di abitudini e moduli consolidati.

A causa dei loro impegni costanti e copiosi, i due avevano sporadicamente incrociato le proprie strade: una dozzina di anni fa si era dato un significativo segnale con il CD in quartetto «Rocket Science», registrato dal vivo al Vortex di Londra, dove insieme a loro comparivano nientemeno che Evan Parker ai sassofoni e Sam Pluta ai live electronics. Ora l’occasione si è presentata finalmente con la formula del duo, producendo effetto di incanto, nonostante la prospettiva fosse già alta sulla carta. Un breve tour europeo ha toccato tra l’altro il Torrione di Ferrara e il Bimhuis di Amsterdam, per concludersi al Vortex londinese dopo la data al Carambolage di Bolzano, che si collocava dunque in seguito a un buon rodaggio.

Foto di Vic Albani

La sintonia tra i due musicisti è profonda, fatta di stimoli e risposte immediate, spesso di prodigiose anticipazioni che danno misura di quanta intesa si possa stabilire tra queste personalità ben marcate e rilevanti, ma aperte alla correlazione. Mescolanze e modulazioni timbriche sono lanciate dalla prodigiosa mobilità di fraseggio della tromba, della pocket trumpet, del flicorno. Ambedue questi ultimi strumenti erano in foggia singolare a quattro pistoni, per allargarne l’estensione. L’effettistica di Evans è inesauribile e tutta meccanica, fisica, basata sulla produzione analogica del suono, senza filtri elettronici. Pulsa di vitalità straripante, si alimenta delle pratiche più inusuali e personali: schiocchi di labbra, brontolii, stratificazioni multifoniche.

Il pianoforte di Taborn si muove a tutto campo, fornendo piattaforme di lancio con articolazioni poderose della mano sinistra, a volte evocando addirittura la scansione granitica di Count Basie, di Bennie Moten. Che si scardinano però nelle complesse tessiture poliritmiche, nelle sovrapposizioni del contrappunto di carattere contemporaneo, nelle vampate free, nelle sfumature delicate. I due musicisti, insieme, raggiungono una vitalità che talvolta è incontenibile, ma viene sorvegliata da intelligenza, da una ratio costruttiva, da contrappesi dialettici e strutturali. Dalla maestria nel trascorrere con naturalezza da un climax all’altro. Dinamiche di intensità ed espressive conferiscono il respiro tra gli episodi più veementi, spesso veri assalti all’arma bianca, arrembaggi spericolati e aperture di respiro, a tratti di sensibilità liederistica. Grande intensità, lucidità, acrobazie al di là di ogni velleità virtuosistica.

Foto di Vic Albani

Tra i brani, lungamente sviluppati in percorsi che uniscono coerenza e digressione, compare il Paul Motian di The Owl of Cranston, nel quale sono evidenziate le inflessioni gospel innestate in un’idea originariamente così astratta e sospesa. La musica contemporanea impregna e intreccia il percorso di Flowing, dello stesso Taborn; il febbrile flusso della tromba, condotto per accumulo e incrocio, è il motivo che dà impulso a Lifeblood, di Evans.
Impregna il concerto un atteggiamento epico, sia per la forza del viaggio che per la coralità dell’azione. Il risultato supera di gran lunga l’immaginazione. Dunque, valeva la pena di aspettare così a lungo questo incontro.
Giuseppe Segala

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