Mister Lloyd, spero di essere all’altezza del compito perché tutta la sua musica, ma in particolare quella del suo ultimo doppio album «The Sky Will Still Be There Tomorrow» è così elevata, profonda e spirituale che mi trovo in imbarazzo nel doverla ridurre a parole. Questo disco è stato composto e voluto durante il periodo della pandemia: può dirci com’è nato il progetto?
Sono sempre più consapevole che l’eternità mi sta chiamando, così mi sento in dovere di offrire qualcosa, cerco di dare il mio contributo ed è stato durante il periodo del Covid che ho deciso che volevo portare nel mondo qualcosa di bello e di elevato. Così ho detto a mia moglie Dorothy che volevo mettere insieme questo gruppo di musicisti, ed erano tutti d’accordo, ma ci è voluto un sacco di tempo perché ci manifestassimo tutti assieme nello stesso posto. Jason Moran mi capisce, lui gira attorno alla mia musica da almeno un paio di decenni, Larry Grenadier ha suonato con me in altri album, «The Water Is Wide», «Hyperion with Higgins» e «Lift Every Voice», abbiamo un bel passato. Anche con Brian Blade ci conosciamo da molto tempo e molte volte abbiamo desiderato incontrarci e suonare assieme ma non c’era mai stata l’occasione. Però lui conosce la mia storia, conosce la mia musica, conosce i musicisti con cui suono, insomma la parola è empatia e tutti noi la condividiamo. Io sono un sognatore, il mondo sta impazzendo, è sempre stato un mondo folle. Ho un grande amore per l’umanità e per la natura, sono anche un astronauta, o meglio, un astronomo in qualche modo, amo la natura e la solitudine. Sono giunto agli ultimi capitoli della mia vita, quindi ho sentito di dover offrire qualcosa e la mia offerta è rappresentata da questo disco.
Mi permetta di chiederle una cosa su uno dei musicisti che lei ha voluto per questo disco, Brian Blade. Qualche giorno fa ho intervistato Chris Potter il quale ha sottolineato quanto Blade sia un musicista speciale, profondo e abbia un approccio spirituale alla musica. Qual è il suo punto di vista?
Non so come mai tu mi chieda quello che di Blade dice un altro sassofonista, ma in ogni caso è vero. È molto profondo, empatico, è moderno e allo stesso tempo conosce la tradizione e la esalta, offre il suo contributo. Abbiamo fatto uno splendido concerto dopo la registrazione. Mi piace la condizione di estasi e lui offre l’occasione per creare questo stato, per darci un tappeto magico in cui noi possiamo volare. E poi tiene tutte le cose assieme. Ha la capacità di vedere oltre la sua testa, di comprendere la vita spirituale e i valori spirituali. Tutti noi esseri umani siamo in un viaggio spirituale e noi, come artisti, vogliamo dare un contributo a questa luce perché ci passiamo attraverso. Non è una situazione permanente: quando incontri sulla tua strada persone che possono elevarti e offrirti questa occasione è una ricchezza e io, quando faccio musica, ci sto dentro completamente. Ma io vivo in solitudine, in mezzo alla natura, non sono necessariamente un solitario ma sono totalmente ubriaco dell’estetica della musica, è tutta la mia vita da quando ero solo un ragazzino, mi ha inebriato, mi ha dato ispirazione e consolazione e voglio condividere tutto questo anche con le altre persone.
Tornando al nuovo album, volevo sapere qualcosa di Defiant, Tender Warrior, composizione in cui il suono del sax tenore cresce con grande profondità emotiva dopo una magnifica introduzione del trio, e mantiene una tensione costante per tutta la sua durata. Può dirci com’è nato questo brano?
È una mia composizione ma, mentre stavamo provando, Jason ha detto che aveva un’idea. Mi ha detto: «Dammi un minuto che faccio qualche aggiustamento», così ha smontato il mio pezzo e l’ha reso più semplice. Ha lasciato solo pochi accordi, io ne avevo messi molti di più, e ha iniziato a suonarli. E poi Lester Young è arrivato, mi ha battuto sulla spalla e mi ha detto «Vai, suonaci sopra», e così ho fatto.
A proposito di Lester Young, trovo che il suo suono al sax tenore sia meraviglioso, più lo ascolto e più riconosco, in controluce, l’eredità di tutti i grandi tenoristi della tradizione. Mi sembra però che, tra tutti quelli che riesco a sentire, Lester Young abbia in lei un posto speciale. È così?
Lester Young viene sempre a trovarmi. Io e lui siamo molto vicini. È morto il 15 marzo 1959, il giorno del mio ventunesimo compleanno, e presumo che abbia detto: «Vediamo cosa posso fare con questo tipo». Lester è molto profondo. È un poeta, e man mano che divento più vecchio entra sempre più profondamente in me. Lui e Billie Holiday vengono a trovarmi, mi capiscono fin da quando ero ragazzino. A quell’epoca volevo sposare Billie Holiday perché pensavo che lei cantasse proprio per me, mettevo la radio sotto il cuscino la sera tardi prima di addormentarmi pensando che l’avrei ascoltata. Vengo da un’epoca in cui il mondo non era invitante ma la musica era così stimolante. E poi il mio suono al sax, da giovane ascoltavo Bird e cercavo di suonare un sacco di note, ho cominciato con il sax alto, come molti della mia generazione. E i vecchi mi dissero: «Ragazzo, tutte quelle note non significano niente se non hai un bel suono». Questo mi colpì, così iniziai a lavorare sulle note lunghe per trovare il mio suono. E ci lavoro ancora, e ci sto andando vicino, come puoi sentire. Ma il Creatore mi ha detto: «Non ancora, Charles». Quindi continuo ad affidarmi a Lester e ai maestri che mi hanno preceduto. Sono ancora in difficoltà, sai, perché ho ancora molta strada da fare e si sta facendo tardi, quindi non so cosa faranno di me, o quanto mi lasceranno vivere. Ma sono ansioso di farlo. Questa registrazione è stata molto profonda. Non è una cosa usa e getta, non nasce tanto per fare qualcosa. È una testimonianza profonda di tutti questi grandi maestri che vi hanno partecipato. Noi quattro abbiamo tutti lasciato che i nostri sé superiori si manifestassero e non volevamo ostacolare la musica. È accaduto qualcosa di molto spirituale, e molto bello.
A proposito di Billie Holiday, può dirci com’è nato il brano The Ghost of Lady Day? Per com’è costruito sembra quasi che vogliate evocarne lo spirito.
Beh, da ragazzino volevo diventare un cantante. E non l’ho fatto! Non avevo la voce, come puoi sentire, ma avevo il sentimento, e amavo Billie Holiday, e l’amo ancora ancora più di qualsiasi cantante. Un po’ di decenni fa ho incontrato una cantante greca, Maria Farantouri, non so se la conosci, lei è stata come Billie Holiday, è venuta in mio soccorso portandomi con sé, e mi ha detto che mi avrebbe portato a visitare tutti i tesori storici della Grecia e mi avrebbe insegnato le antiche canzoni. Mi è stata molto vicina e si è mostrata molto disponibile. E così fu per Billie Holiday, lei è dentro di me e mi tocca profondamente. C’era qualcosa in un pezzo come Strange Fruit, e altre canzoni che lei cantava in un modo così speciale, era come se avesse affinità con gli spiriti. Di sicuro aveva una certa affinità con l’oscurità e con il lato nascosto dell’essere umano, era come se lei fosse la madre dell’Universo e potesse elevarci e benedirci. Così ho scritto per lei una specie di lamento funebre, un omaggio o un requiem, qualcosa del genere, una specie di preghiera.
Volevo sapere qualcosa di più del brano The Sky Will Still Be There Tomorrow, che inizia con una lunga introduzione di sax e batteria a cui poi si aggiunge il pianoforte che anticipa l’ingresso di un tema blues. Può dirci qualcosa di più dello spirito del blues presente in questo brano e, naturalmente, presente in tutta la sua musica?
Beh, sono un bluesman in un percorso spirituale o in un viaggio spirituale, invece di dire «O mio Dio!» nella posizione del missionario lo faccio in quella del loto. Quando sentivo quei vecchi bluesmen alla Howlin’ Wolf ero un adolescente e non li capivo del tutto, se non che potevo sentirne il potere. E nel pieno loto ho dovuto imparare a meditare e a trovare la via per il Potere Superiore e anche per la solitudine, per realizzare la comunione con il Creatore. È un lato molto, molto profondo nella mia musica. Se sei un estatico e vuoi sperimentare quello stato, devi affinare il tuo sistema nervoso, devi meditare, sciogliere lo stress e devi trovare una strada con carattere. Sai cosa mi disse il mio migliore amico, Booker Little, a proposito di New York? «È tutta una questione di carattere». Quindi, da tutta la vita lavoro sul mio carattere. E, man mano che il mio carattere migliora, anche il mio suono migliora. Sul serio. Non so se sto proprio rispondendo alle tue domande, ma sto entrando nel merito del mio metodo e sto cercando di comunicarlo.
A proposito di Booker Little, in questo disco lei dedica al trombettista scomparso nel 1961 un brano, Booker’s Garden. Eravate coetanei, entrambi di Memphis e ho visto che siete nati a quindici giorni di distanza, lei il 15 marzo, lui il 2 aprile del 1938. Che rapporto avevate?
Andavamo nella stessa scuola e ascoltavamo assieme i quartetti d’archi di Bartók. Lui amava Clifford Brown e Fats Navarro, ma sai perché? Perché tutti e due volevamo sentire le dissonanze. A proposito dei quartetti di Bartók, ciò che per noi lui aveva di speciale è che utilizzava le melodie popolari e noi facevamo la stessa cosa con il blues. Noi abbiamo avuto i campi di cotone, Bartók aveva le melodie popolari della sua tradizione e le portava alla modernità utilizzando le formule matematiche come, per esempio, le sequenze di Fibonacci. Diciamo che la matematica precede la geometria, e ciò che noi abbiamo ricavato da questo è che noi avevamo i nostri spirituals e questo ci confortava, ma dovevamo farlo con il nostro carattere e con il nostro suono, ed è ciò che tu stai cogliendo nella nostra intervista. Il carattere permea, illumina e conferisce un suono che non è lo stesso di altri che stanno andando nella stessa direzione. Quando sono arrivato la prima volta a New York, anche se Booker era di poco più giovane di me, lui era già lì, io ero stato in California con Ornette Coleman, Billy Higgins e Scott La Faro, lui prima era andato a Chicago e poi si è spostato a New York con Max Roach e tutti quei fantastici musicisti. Era anche un grande compositore e mi ha parlato molto delle dissonanze e di quanto queste fossero importanti, perché se la tua musica rimane solo al livello delle consonanze è insipida. Insomma, devi mescolare la salsa agrodolce in cucina, mettere assieme i porcini e il tartufo con i finferli, o magari, non so, devi aggiungere delle spezie alla pasta per fare una cena di buon livello. Devi trovare il modo di mescolare le dissonanze con le consonanze, e la ragione per cui Booker suonava così bene è che poggiava sulle spalle di Clifford Brown, che era un meraviglioso musicista. Ma Booker faceva questo in modo fantastico, lui e il suo carattere, la sua personalità erano così elevati, e se n’è andato a soli 23 anni, ma era un’anima illuminata, e questo è molto raro. E di tutti i musicisti che ho incontrato in tutta la mia vita non ho mai incontrato nessuno che lo superasse per valore spirituale. Così da tutte queste ispirazioni devi cogliere qualcosa e farne qualcosa. Quando sono arrivato a New York ero molto giovane, alloggiavo in un hotel di musicisti, quello dove morì Lester Young, l’Alvin Hotel, di fronte al Birdland. Booker mi disse: «Fai le valigie, vieni a casa da me» e mi fece abitare da lui per diversi mesi. Cominciò a prendermi da parte e a mostrarmi la musica sul pianoforte, come affrontare le consonanze e le dissonanze e metterle assieme. Rendeva le dissonanze bellissime, e mi ha ispirato. E già che ero a New York volevo andare oltre, ed è stato allora che Booker mi ha detto, a proposito di New York che «è una questione di carattere». Con Booker abbiamo fatto lunghe conversazioni sulla vita e sul suo significato, e lui mi ha dato fondamenta così forti che le sento sempre di più nel cuore e nella coscienza man mano che approfondisco la mia vita spirituale. Mi rendo conto che mi ha dato così tanto. Nonostante avessimo la stessa età lui era stato ben più esposto di me alla vita di New York, che in quel periodo era la Mecca. Più tardi però, tra lui che se n’era andato così presto, il business musicale e tutto il resto, io ero molto giovane, facevo la vita del musicista di quel periodo nel bene e nel male, ho capito che stavo soffrendo, così me ne sono andato e sono tornato in California e ci ho messo un po’ a ricostruire le mie capacità spirituali. E questo ha poi fatto combaciare magnificamente le consonanze e le dissonanze.
Per dirla con il titolo di una sua composizione presente disco, ha agito come un Defiant, tender warrior…
Apprezzo la tua metafora. Noi siamo guerrieri a tutti i livelli, dobbiamo cambiare il mondo ma per prima cosa dobbiamo cambiare noi stessi. Così ho dovuto andarmene per costruirmi. Puoi essere esplicito quanto vuoi sull’incompetenza dei presunti leader della politica e su come continuino a minacciare l’umanità, ma è ai tender warriors che io sto cercando di fornire sostegno, con strumenti come verità e amore.
A proposito di guerrieri, lei appartiene alla generazione dei «guerrieri del sassofono», musicisti arrabbiati, incendiari, aggressivi, ma mi sembra che, al contrario, con il suo suono e il suo modo di suonare, abbia sempre scelto la via della tenerezza. È così?
Beh, l’hai sentito, no? Quando diventi te stesso non conosci l’ombra, sai qual è stato per te il nutrimento o quali sono state le ispirazioni, ma ognuno di noi deve avvicinarsi e diventare caro alla propria anima interiore. Così essa si manifesta e il tuo suono parla del modo in cui sei: anche se posso fare molte cose, non trovo necessario sparare a una formica con un cannone. Se suono in modo «tenero», è perché è così che sono diventato. Quando ero giovane ero molto più selvaggio e mi piaceva, adesso non ho così tante note, a disposizione, quelle che posseggo mi parlano in termini di dissonanza e di consonanza, e della loro unione. Se ripenso alla nostra vita, ritengo che tutti noi siamo come monaci in cammino. E la cosa più bella del cammino è che non riesci mai a raggiungere il cielo e non puoi indietreggiare perché la vita va vissuta, e quando cavi devi rialzarti, perché hai formato il tuo carattere e non devi danneggiare né ferire gli altri. La verità e l’amore dovrebbero essere la tua guida.
In Late Bloom c’è una lunga introduzione in cui, al flauto, dialoga con se stesso. Può dirci qualcosa di questa composizione?
Adesso mi sento come se fossi fatto soltanto di musica, non faccio altre cose, mi apparto con il pianoforte, lavoro lentamente e cerco di vedere se riesco a far venir fuori qualcosa, qualche frammento di frattale. Così a un certo punto ho suonato un duetto di flauto con me stesso, mi sono detto «questo lo devo usare», e così ho fatto.
Quando preferisce utilizzare la sonorità del flauto rispetto a quella del sax tenore? È una scelta dettata dall’istinto?
Non saprei dirlo ma credo di si, cerco di provare le cose su strumenti diversi ma in realtà mi sembra già di sapere in anticipo dove usare l’uno o l’altro. Di base non utilizzo il flauto ma qualche volta sento di doverlo fare. Penso di non suonare come nessun altro flautista, forse perché ho il suono degli uccelli dentro di me. Sento la natura, ho una relazione diretta con la natura, forse sono poco ortodosso ma è quello che mi accade.
In effetti mi sembra che anche il suo fraseggio, sia al sassofono sia al flauto, faccia esplicito riferimento ai suoni della natura. È così?
Beh, d’altronde io vivo immerso nella natura, qui c’è l’oceano, tutt’attorno ci sono le montagne, i sentieri tra gli alberi e molti animali selvatici. Qui si avvicinano i cervi, i puma, gli orsi, naturalmente ci sono le rane e tantissimi uccelli. C’è in particolare un uccello che mi viene a trovare spesso, è stagionale e quindi ogni tanto ritorna, picchietta sul vetro della finestra e mi chiama, io gli vado incontro e gli suono qualcosa, insomma, abbiamo una specie di conversazione. Una volta stavo facendo un’intervista online e quest’uccello mi ha bussato alla finestra, e allora al giornalista che mi stava intervistando, sai, era un tipo di New York, ho detto che dovevo andare a parlare con quell’uccello, pensa un po’. Comunque sono molto attratto dalla natura, è una grande ispirazione per me, e vivo la musica come ispirazione e consolazione perché mi ha offerto così tanto.
In questo album c’è anche un suo omaggio a Thelonious Monk, Monk’s Dance. Può raccontarci qualcosa su questa composizione?
È un brano piuttosto vivace. Quando vivevo a New York ero stato invitato da un agente a suonare con Monk ma non sono mai andato a casa di Thelonious perché lui era il sommo sacerdote della musica, l’architetto dei suoni, e io avevo paura. Quell’agente mi aveva detto: «Monk vuole che tu suoni con lui, vai trovarlo a casa». Ma io ero troppo spaventato, ero da solo, avevo solo 22 anni, ero appena arrivato a New York. Così oggi ogni tanto suono alcuni dei suoi pezzi, lo stesso vale per Billy Strayhorn e Duke Ellington, a volte suono la loro musica, e a volte suono gli spirituals del Sud, cose diverse. Poi nel disco c’è Cape to Cairo…
E a cosa si riferisce questo brano?
È una composizione che ho scritto per Nelson Mandela quando è tornato dalla prigionia, e che non ho mai suonato con nessuno. Ma è molto bello il modo in cui è stata interpretata in questo disco, erano tutti così sensibili e ricettivi, e mia moglie Dorothy è sempre stata al mio fianco e vicina alla mia musica. Anche lei è nella mia musica, è una pittrice, è un architetto. È bravissima in cucina, sai che ha vissuto in Italia, a Firenze, per parecchio tempo? Ed è una grande benedizione per me, stiamo insieme da più di cinquant’anni.
In conclusione, se dovesse riassumere il significato di questo suo album, potrebbe trattarsi di un messaggio di speranza per l’umanità?
Sono nella fase finale del mio viaggio e sto cercando di lasciare qualcosa di profondo e significativo che il mio percorso spirituale ha portato alla luce attraverso me e il mio servizio alla musica e al Creatore. Facciamo musica per noi stessi, suppongo, per parlare della verità e dell’amore che c’è dentro di noi. E poi cos’altro? Questo aspetto è molto profondo per me, perché ho delle persone che hanno condiviso tutto questo con me e che mi hanno aiutato a dare questo contributo. Quindi, invece di dire di cosa si tratta in senso assoluto, sarà ciò che sarà per l’ascoltatore, e ogni ascoltatore apporta un diverso livelli di esperienza. Insomma, guarda il mondo in cui viviamo, non riesco a credere come così tante persone possano essere negative, o contro l’umanità, quindi mi sforzo sempre di essere edificante e di dare un contributo. E quindi tutto questo è il mio obiettivo, ma faccio musica cercando di non cedere allo stress perché sono anziano e ho molta esperienza. Ho anche una mente da principiante, e così posso suonare dissonanza e consonanza con l’entusiasmo di un adolescente innamorato, e io sono innamorato dell’umanità e del mondo, e della divinità, e tutto ciò che ci ispira. E quindi sono come un uomo solitario nella prateria con un fucile, avrai capito che non mi adatto al mondo e il mondo non mi accoglie. Ma nel mondo c’è un po’ di gente che ama il mio suono, e quando io e te abbiamo iniziato a parlare del suono, sai, alla fine è il suono che dice tutto. Ed è tutta tua la capacità di percepire e apprendere cosa significano quei suoni, sta tutto lì.