Benjamin Lackner, parliamo subito del suo nuovo album «Last Decade». Cosa le è successo nell’ultimo decennio?
Diverse cose importanti. Negli ultimi dieci anni ho dapprima conosciuto mia moglie e ho poi imparato a fare il padre di due splendidi bambini. Questo mi ha reso sicuramente una persona migliore e più altruista e mi ha permesso di imparare a radicarmi e a capire che nella vita c’è molto di più della musica. Sono tornato a Berlino dopo vent’anni di vita in California e a New York. In questo decennio ho realizzato il sogno di una vita: registrare con Manfred Eicher. Un sogno che avevo fin dall’età di quattordici anni.
Il suo trio si è evoluto in un quartetto, ma ha anche visto alternarsi diversi membri. Quali sono i motivi che l’hanno spinta a certe modifiche?
Io e Jérôme Regard suoniamo insieme dal 2006 e abbiamo molta esperienza di lavoro in studio. Qualche anno fa lui mi ha presentato Manu Katché e assieme abbiamo deciso di registrare un album in quartetto aggiungendo alla tromba Mathias Eick. Sentivo di aver bisogno di qualcuno che non suonasse le melodie per avere più libertà.
È stata la prima volta che ha collaborato con Mathias Eick e Manu Katché?
Sì! In studio, i musicisti sono stati assai aperti e disponibili durante la fase di arrangiamento e abbiamo finito per apportare diverse modifiche che si adattassero alla musica nei momenti giusti. Manu ha proposto dei beats meravigliosi e la seduta ha espresso una sensazione generale di freschezza perché era tutto nuovo per noi.
La musica che ha composto per «Last Decade» era stata già pensata in partenza per un quartetto?
Si. Abbiamo deciso fin dall’inizio che sarebbe stato un disco acustico, il che ha reso più facile per me concentrarmi su una direzione e mi ha permesso di riscoprire il pianoforte in modo più intimo. Ho lavorato per trovare strade che mi facessero sentire le melodie in modo più aperto. Dopo aver fatto sentire a Manfred Eicher alcuni demo, fu deciso di registrare in acustico in Francia, negli studi La Buissonne. Inutile dire che tutto è stato ritardato di un altro anno a causa della pandemia, ma ho avuto l’onore di partecipare alla prima sessione di registrazione di Manfred dopo il lockdown.
Quindi anche l’idea di partenza era quella di un quartetto
Assolutamente sì. Dato che ho già un trio con Matthieu Chazarenc e Jérôme, volevo mettere su un quartetto per questo album. Manu e Jérôme suonano insieme da anni, Manu e Mathias hanno registrato e fatto molti tour insieme, Jérôme e io suoniamo assieme da lungo tempo e Mathias e Manu hanno lavorato molto con ECM. Mi sentivo quindi sicuro che questa combinazione di menti artistiche avrebbe funzionato bene.
Qual è stato il suo approccio alla scrittura della musica di questo album?
Con un trombettista nella band, ho dovuto affidare le parti armoniche al pianoforte e pensare alla tromba come voce principale, il che è stato un territorio nuovo per me, dato che sono abituato a suonare per lo più in solo o in trio; è stato un bel cambiamento scrivere pensando a Mathias, anche se ho subito scoperto che il suo fraseggio si adatta perfettamente al mio modo di sentire il materiale melodico. Per esempio, in Circular Confidence l’introduzione di pianoforte è nata spontaneamente e la melodia è condivisa in tutta libertà tra tromba e pianoforte.
Chi dei musicisti del suo quartetto ha contribuito alla genesi di questo disco?
Ho trascorso un anno in solitudine a Berlino per scrivere la musica. È stato incredibile suonare finalmente la musica di persona dopo aver condiviso il materiale tra Norvegia, Francia e Germania nel corso di un anno. Jérôme e Mathias avevano registrato delle versioni demo dalle rispettive abitazioni, e questo mi ha aiutato a farmi un’idea della direzione che la musica poteva prendere.
Come si accosta alla composizione?
Da David Roitstein, mio insegnante al CalArts di Los Angeles, ho imparato a scrivere liberamente ciò che sento, senza imbrigliarlo subito con la teoria. L’idea di partenza dev’essere puramente melodica, per me, non armonica. L’armonia arriva soltanto dopo, quando ho reso la melodia forte a sufficienza.
Che storia racconta il brano Camino Cielo?
Questa catena montuosa in California rappresenta il luogo di riposo dei miei antenati, che si trasferirono dalla Germania agli Stati Uniti negli anni Trenta e si costruirono una nuova vita nella California del sud. I miei nonni sono stati una grande ispirazione per me e mi hanno sempre aiutato a perseguire i miei sogni. Il brano rende loro omaggio.
Quale parte della sua vita è raccontata in questo disco?
Parla del passaggio da giovane uomo all’età adulta. Sentirmi responsabile delle mie decisioni, lavorare su una comunicazione chiara con chiunque nella mia vita e assumermi la responsabilità delle mie azioni. Prendermi cura degli altri e prendermi abbastanza spazio per me stesso.
Questo è il suo primo disco con ECM e sembra aver avuto un esito assai positivo. Come è nata la sua collaborazione con l’etichetta di Manfred Eicher?
L’ho incontrato circa cinque anni fa per la prima volta a Berlino e abbiamo fatto una bella chiacchierata. Poi, una volta scritti i brani, gli ho mandato la musica, l’abbiamo ascoltata insieme a Monaco e abbiamo organizzato il tutto. Manfred ha una sensibilità musicale che è semplicemente stupefacente. Sente davvero la musica in un modo che rende molto facile, a chiunque gli stia intorno, capire se la direzione intrapresa è quella giusta. Ci fa notare quando un’idea musicale non è abbastanza forte e quando ha bisogno di un maggiore sviluppo, e ci aiuta persino a dare forma alle improvvisazioni in un modo che non ho mai sperimentato prima. Non è diverso da un grande regista teatrale, che riconosce i punti di forza di ogni attore e li usa con saggezza. Tuttavia permette anche ai musicisti di essere sé stessi e prendere forti iniziative. Se avevamo bisogno di più tempo per trovare la giusta direzione, ci suggeriva gentilmente di ascoltare: una nuova direzione si sarebbe rivelata. Sembrava il quinto membro della band, perché con la sua sola presenza in studio faceva suonare e ascoltare tutti in un modo incredibilmente concentrato e consapevole. Manfred ispira questo tipo di energia. Anche guardarlo mentre mixava l’album è stato incredibile. Il suo senso dell’equilibrio e del suono è così forte che è stato un piacere poterlo condividere.
Per alcuni critici musicali e giornalisti lei è considerato il nuovo Keith Jarrett. Cosa pensa di questo paragone e si sente vicino al pianismo di Jarrett?
Un paragone del genere, per quanto sia un enorme complimento, è complicato per me. Infatti Jarrett è il mio più grande idolo e la ragione per cui ho voluto diventare musicista e pianista. Ma lui è Keith Jarrett, io sono me stesso. Non mi paragonerei mai a lui. Mi sono serviti molti anni per accettare me stesso e mi trovo ancora su un percorso molto emozionante. Devo imparare a essere più concentrato, più presente e più rilassato, e ad ascoltare con più attenzione gli altri ogni volta che suono dal vivo. Se pensassi di essere Keith Jarrett ogni volta che tengo un concerto sarebbe un bel problema!.
Il suo background familiare ha influenzato la sua vita personale?
Sì. Sono un cittadino di due continenti. Mi sento a casa sia in Europa sia negli Stati Uniti.
Quali sono gli elementi (letture, esperienze, collaborazioni) che hanno influenzato il suo percorso artistico?
La mia famiglia mi ha influenzato molto. Mio nonno, Stephan Lackner, era un autore, mio padre un regista teatrale, mio zio un batterista jazz, mia madre una costumista, mia sorella una pittrice straordinaria e mio cugino un produttore musicale. Studiare con Brad Mehldau e Charlie Haden mi ha aiutato molto. Charlie Haden mi ha detto che devi sempre sentire un sussurro nel tuo fraseggio.
Riconosce qualche maestro nella tua scrittura, anche qualcuno che non ha mai incontrato di persona, una fonte cui si è abbeverato?
Miles, Thelonious Monk, Johannes Brahms, Fryderyk Chopin, Brad Mehldau, Charlie Haden, i Radiohead.
Lei ha vissuto a lungo negli Stati Uniti. Poi è tornato a Berlino. Come mai?
Avevo bisogno di esplorare le mie radici europee e volevo stare con la mia ragazza a Berlino. Stavo comunque facendo più concerti in Europa, e aveva senso lasciare Brooklyn per ritrovare me stesso.
Berlino è sinonimo di cultura, scene musicali interessanti e nuovi talenti. Cosa ne pensa? Consiglierebbe di ascoltare qualche giovane in particolare (anche non strettamente jazz)?
Sì: Wanna Slavin, Holon Trio, Charlotte Greve, Uli Kempendorf, Felix Wahnschaffe, Ignaz Dinne.
Ha mai pensato di inserire un testo in qualcuna delle sue composizioni?
Nel 2002, a Brooklyn, facevo parte di una band chiamata Maroon. Hillary Maroon ha scritto alcuni testi per i miei brani. Io non ho le competenze necessarie per scrivere un testo.
Il dedicatario ideale di uno dei suoi dischi?
Stephan Lackner, mio nonno.
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Ne ho molti. Per ora sono concentrato sulla musica acustica. Niente più effetti. Ho scritto molta musica nell’ultimo anno. Voglio fare presto un album da solista e un nuovo album in trio, tutto acustico e meno studiato dei miei ultimi album in trio. Cerco più libertà nella musica. Di sicuro intendo registrare anche un altro album in quartetto.