Barry Guy: all’Improvviso

A colloquio con uno dei giganti del contrabbasso e della musica improvvisata, artista dai vastissimi interessi culturali

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Barry Guy (Londra, 1947) è indiscutibilmente uno degli esponenti storici della musica improvvisata europea. Infatti, se si analizzano il percorso artistico e la produzione del contrabbassista, ci si rende immediatamente conto dell’ampio spettro di temi e contenuti affrontati sia come esecutore che come compositore. Guy si rivelò giovanissimo sulla scena inglese verso la fine degli anni Sessanta grazie alle collaborazioni con John Stevens, Howard Riley, Paul Rutherford, Tony Oxley. Insieme a Rutherford e Derek Bailey Guy fu protagonista della realizzazione di una delle pietre miliari per una forma d’improvvisazione che azzerasse i parametri jazzistici consolidati: «Iskra 1903» (Incus), contenete registrazioni del settembre 1970 e del maggio 1972. Queste esperienze aprirono la strada a una copiosa sequenza di audaci sperimentazioni e proficue collaborazioni, a cominciare da quelle con l’amico Evan Parker: in duo, nel trio con Paul Lytton e più tardi nell’Electro-Acoustic Ensemble. La poetica del duo ben si addice a Guy, se si considerano i confronti con altri due maestri del contrabbasso come Barre Phillips e Peter Kowald, o il più recente sodalizio con la vocalist greca Savina Yannatou. Quanto al trio, merita la massima attenzione quello formato con Lytton e Marilyn Crispell, oltre alla periodica ripresa del percorso di Iskra 1903, con il violinista Phil Wachsmann al posto di Bailey. Tuttavia, Guy si distingue anche per una prolifica attività compositiva: con la London Jazz Composers Orchestra e con ensemble di varia dimensione. Non va poi trascurato il suo ruolo di esecutore in ambito contemporaneo e classico. Il vasto repertorio affrontato comprende pagine di Monteverdi, Bach, Händel e Haydn. Insieme alla moglie, la violinista svizzera Maya Homburger (in passato membro degli English Baroque Soloists di John Eliot Gardiner), Guy ha creato l’etichetta Maya, che nel proprio catalogo annovera lavori di musica improvvisata e contemporanea, oltre a riletture di autori classici.

Nel corso della tua carriera hai praticato a lungo sia l’improvvisazione sia la musica barocca, da molti considerate due mondi separati. A tuo giudizio, cos’hanno in comune queste discipline?

Il primo punto, ovviamente, è il comun denominatore del contrabbasso e la mia gioia di suonare questo strumento. Naturalmente, la sua funzione è differente nei due generi che hai menzionato. Il mio obiettivo principale è quello di ricavarne ciò che è intrinsecamente necessario alla musica. Nel Barocco il basso fornisce le fondamenta per l’impeto armonico e ritmico. Cerco di costruire il mio contributo fornendo linee di basso che sostengano i miei colleghi. Questo risultato si ottiene attraverso la costante consapevolezza della direzione intrapresa dalla musica e una reazione conseguente. Cose veramente basilari, ma nondimeno importanti per mantenere coscienza dell’intento di chi ti sta intorno. Nell’improvvisazione certamente con i colleghi si sviluppa uno scenario democratico che richiede non solo competenza, ma anche umiltà e rispetto. Ciò che queste due discipline hanno in comune è l’abilità nell’ascolto dei colleghi musicisti.

Cosa ti ha spinto a esplorare la musica di György Kurtág?

Il mio primo incontro con la musica di György Kurtág avvenne molti anni fa, quando eseguii in un gruppo di musica da camera il suo pezzo eccezionalmente vivace Scenes From a Novel: 15 canzoni costruite per le poesie Rimma Dalos. L’orchestrazione è per voce, cimbalom, violino e contrabbasso. A quanto mi ricordo, fu molto difficile ma emozionante. In tempi più recenti mi sono imbattuto nei suoi pezzi per basso solo Message – consolation à Christian Sutter ed Eine Botschaft an Valérie, entrambi inviatimi dal meraviglioso bassista a cui la musica è dedicata e scritti rispettivamente nel 1999 e nel 2000. Ancor più recentemente, un progetto con la pianista Katherina Weber e il percussionista Balts Nil, Games and Improvisations, Hommage à György  Kurtág mi ha introdotto alle sue stupefacenti miniature pianistiche. Come trio, abbiamo improvvisato una risposta a quei gioielli di minimalismo. Kurtág è rimasto contento di questa procedura e il suo interesse amichevole e flessibile mi ha indotto a ricercare delle possibilità di adattare la sua musica per piano al nostro duo per basso e violino. Maya Homburger aveva gradito i pezzi e chiesto a György di scrivere un duo per noi. Lui disse che in quel momento era troppo impegnato e così lasciammo perdere. Tuttavia, qualche tempo dopo Maya ci ha riprovato e, per qualche specie di miracolo, ci è stato mandato un pezzo di un minuto e mezzo, una splendida e sintetica composizione – basata su Roundelay, una poesia di Samuel Beckett – dal titolo Hommage à Eberhard Feltz. Che onore! Così abbiamo iniziato a provare il pezzo e dopo siamo andati a Budapest per fargli ascoltare la nostra nuova acquisizione. Kurtág è stato gentile e rigoroso nei confronti della nostra interpretazione. Come Maya ha detto: «Questo incontro è stato una delle più belle esperienze musicali che abbiamo affrontato». Si possono trovare la lettura di Roundelay e la nostra esecuzione nel cd «Acanthis» (Maya Recordings MCD 2201). Gli abbiamo anche eseguito alcuni dei miei arrangiamenti e abbiamo ricevuto la sua approvazione a continuare. Il piacere di questo incontro non svanirà mai.

Come compositore quali sono i tuoi principi e scopi fondamentali?

Il mio obiettivo principale come compositore è quello di creare musica che inviti gli esecutori a farsi coinvolgere in uno scenario in evoluzione. Generalmente il mio lavoro è privo di dogmi, per quanto io provi uno speciale fascino per la proporzione e per l’interconnessione di idee che esaminino opzioni relative ad affermazioni musicali equilibrate e a stimolanti situazioni improvvisative. Testi, pittura e architettura sono tutte cose che hanno giocato un ruolo importante nella mia pianificazione strutturale. La complessità arida non è il mio forte. Voglio che ogni pezzo scaturisca da pensieri improvvisativi controllati dalla logica e dalla retorica, ma facili da utilizzare. 

Sotto questo aspetto, come definiresti la tua esperienza di lungo corso con la London Composers Orchestra?

Negli anni la London Jazz Composers Orchestra mi ha offerto una tela vuota su cui dipingere nuove sonorità e potermi permettere generose pennellate di colori ricchi di sfumature. Tutte queste possibilità sono state facilitate da musicisti straordinari che hanno contribuito a delle risposte così creative, nella maggior parte dei casi con grande garbo ed enorme pazienza. Ancora oggi, dopo oltre cinquant’anni di attività, posso accogliere nell’orchestra alcuni membri della formazione originale. Sono stato davvero fortunato.

La Blue Shroud Band gioca un ruolo davvero rilevante nella tua attività attuale, come dimostra la recente pubblicazione di «All This This Here», ispirato a Samuel Beckett. Puoi spiegare questo legame?

La Blue Shroud Band riunisce musicisti di nove paesi differenti, tutti con speciali caratteristiche che hanno realmente definito il nostro primo progetto. La parola scritta è importante per la Blue Shroud, e di conseguenza la nostra vocalist Savina Yannatou ha presentato l’elemento drammatico insito nel testo con una comprensione davvero straordinaria delle fonti: Guernica, il memorabile dipinto di Pablo Picasso e, nel 2003, il drappo blu appeso sopra l’arazzo che riproduceva il dipinto nell’edificio delle Nazioni prima che il Segretario di Stato americano Colin Powell rilasciasse in tv e a tutto il mondo la sua dichiarazione a sostegno dell’invasione dell’Iraq. Tale era lo spirito collettivo in questa impresa che sono stato tentato di comporre un altro pezzo per l’ensemble. 

Come ho detto prima, Samuel Beckett è stato il mio costante compagno letterario, e la sua ultima poesia, What Is the Word, è diventata per me un veicolo per viaggiare verso nuove destinazioni musicali. Insieme a Waiting, poesia dello scrittore e poeta irlandese Barra Ó Séaghdha, due Edo Haiku del XVIII secolo e Brief Dream, un’altra poesia di Beckett, avevo il materiale per compiere una ricerca sull’idea del passar del tempo. Il titolo All This This Here è estratto da What Is the Word. Alla fine del pezzo ho immaginato il gesto di un braccio che cinge il corpo, come espressione del mondo che ci circonda e ci invita a riflettere sul nostro passato. Ancora una volta, la sensibilità di Savina Yannatou per le sfumature dei testi (in tre lingue: francese, inglese e greco) ha definito l’atmosfera speciale del brano. Una volta di più, tutti i musicisti hanno fornito prestazioni esemplari, piene di creatività e di raffinatezza tecnica. 

Quali sono i pro e i contro della gestione e della direzione di grandi ensemble europei quali la London Composers Orchestra e la Blue Shroud Band?

Gestire grandi ensemble è diventato un incubo logistico e Maya ha rappresentato il solido fondamento sul quale organizzare le attività. In passato era semplice: si riceveva l’invito, si telefonava ai membri, si confermava per fax, ci si incontrava a destinazione dopo aver sistemato tutti i preparativi per il viaggio. Tutto molto chiaro e inequivocabile. Al tempo c’era anche un certo sostegno finanziario per la musica da parte dell’Arts British Council. Oggi, il mondo digitale e la burocrazia annessa hanno reso pressoché impossibile la pianificazione e la realizzazione dei concerti. Assieme ad ulteriori restrizioni per i musicisti che viaggiano con i propri strumenti, il panorama generale è pericoloso. Vorrei tanto dire che il fatto di essere sulla scena da tanto tempo dovrebbe rendere le cose più facili, ma è vero il contrario. Siamo solo riusciti a presentare la nostra musica con l’autofinanziamento che naturalmente è limitato. Conserviamo il nostro ottimismo per i progetti futuri, ma le prospettive appaiono fosche. 

Retrospettivamente, quali conclusioni puoi trarre dal tuo legame con Evan Parker e Paul Lytton?

Evan e Paul per me rappresentano un’avventura sonora solida, che si ravviva sempre. La natura cameratesca della nostra lunghissima relazione fa sì che la nostra creazione musicale possieda una capacità di comprensione profondamente sentita e sicura, ma che ci sorprende anche con la scoperta di nuove vie espressive. Ogni concerto mi sembra davvero speciale e commovente.

«Iskra 1903» è tuttora considerato una pietra miliare della free music europea. Dopo più di cinquant’anni da quelle registrazioni, sei d’accordo con questa affermazione?

Non avevo mai pensato che «Iskra 1903» rappresentasse una pietra miliare della free music europea, sebbene il trio originale con Paul Rutherford, Derek Bailey e me riuscisse a offrire dei procedimenti notevolmente originali. Le nostre scoperte di sonorità insolite forse definirono una particolare estetica per quanto riguarda il modo in cui i tre strumenti attraversavano paesaggi sonori interessanti toccando i campi del jazz e della new music. Formato nel 1970, il trio ebbe una nuova versione nel 1981 quando Philipp Wachsmann rimpiazzò Derek Bailey. Allora la musica divenne più contrappuntistica e perfino orchestrale con violino e basso, suonati con l’arco, che fornivano un tappeto sonoro a Paul Rutherford per elevare le sue linee di trombone notevolmente originali.

Infine, qual è il tuo punto di vista sull’attuale scena della musica improvvisata in Europa?

Per certi versi mi è difficile commentare, dal momento che non dedico molto tempo all’osservazione di questa scena. Il mio lavoro ruota intorno ai miei ensemble di lungo termine e ai musicisti che ne fanno parte. Tutti loro hanno le loro vite musicali ben distinte al di fuori della mia sfera di influenza. Ciononostante, cerco di scrivere ed esprimere un corposo volume di lavoro, basato su profonde convinzioni, che invita l’ascoltatore ad entrare in un mondo musicale di soluzioni poetiche ben ponderate. Avendo definito la mia intonazione in contrasto con ciò che ho enunciato nella mia musica, è ormai evidente che sulla scena attuale esiste una preponderanza di elettronica, percussioni e a volte un sacco di musica molto rumorosa. Ho notato anche un’infusione di musica etnica in forme più astratte, spesso utilizzando aspetti tecnici derivanti dalla musica popolare, con il materiale guidato e manipolato dal mondo digitale. Ci sono molti musicisti tecnicamente dotati in circolazione e la pluralità di competenza strumentale e dominio digitale sta creando nuove aspettative. La mia speranza è che si resista alla necessità di immergersi tutti nel tunnel spazio-temporale. Però, con l’intelligenza artificiale all’orizzonte, possiamo aspettarci un gran livello di destabilizzazione nel bellissimo mondo dell’improvvisazione, dove gli esseri umani hanno creato partendo dall’anima.

Lucas Niggli dr,comp Anne La Berge fl,electr Nils Wogram tb Philipp Schaufelberger guit Barry Guy b
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