Dieci anni dal primo live, tanti altri progetti realizzati insieme e in parallelo. Qual è il segreto per affrontare insieme gli anni che passano?
Tati Valle: A essere sincera, l’arrivare al terzo album insieme e il festeggiare dieci anni di duo stupisce anche me. In questo progetto è stata la musica stessa a unirci e a mantenere il legame: direi che il passo più coraggioso sia stato quello di andare verso il primo disco, «Madeleine» che risale al 2015 e ci ha dato tante soddisfazioni. Non ci aspettavamo di essere accolte così bene nell’ambiente del jazz e abbiamo visto sin dall’inizio che questo bambino appena nato camminava da sé e in fretta. Non abbiamo fatto altro che ascoltare, nutrire e seguire questo filo conduttore di destini che si incrociavano, per poi scoprire in realtà che era la musica stessa a nutrire noi.
«As Madalenas», uscito in primavera, è il vostro terzo album. Su quali basi nasce questo nuovo progetto?
Cristina Renzetti: Il grande desiderio era quello di registrare un nuovo disco di brani scritti da noi. Nei due dischi precedenti e sopratutto nei live di questi dieci anni abbiamo sperimentato e trovato un nostro suono – che noi usiamo chiamare «madalenico», minimalista ma denso – poi il canto a due voci, lo scambio degli strumenti, ma non ci eravamo troppo concentrate sulla scrittura. Abbiamo scoperto che la sintonia madalenica funziona anche sedendoci al tavolo con penna, foglio e chitarre: l’una portava un testo, l’altra un abbozzo di melodia e in poche ore sono nati questi racconti a quattro mani.
Prima di parlare di repertorio, mi interessava parlare di formazione. Questa volta siete circondate da una band d’eccezione e coadiuvate da, diciamo così, un produttore esterno, Ferruccio Spinetti. In che modo questa nuova formazione incide sulla musica di As Madalenas?
Tati: Avere un produttore artistico era un desiderio antico e confesso che lavorare con Ferruccio era un sogno nel cassetto! È la prima volta che registriamo un album con una formazione fissa dall’inizio alla fine, con un repertorio principalmente di inediti e con una guida a cui affidarci passo per passo durante tutto il processo, nonché un super contrabbassista, «due piccioni con una fava», insomma! La scelta di avere con noi Roberto Taufic e Bruno Marcozzi è stata facile, sono amici per i quali tra stima professionale e affetto non sappiamo a cosa dare la precedenza. Abbiamo offerto spazio e respiro alla musica madalenica sperimentando la sonorità del trio, che ci portava a casa in maniera diversa ma senza perdere di vista l’essenza di ciò che ci distingue, ovvero, il senso di sottrarre, di essere spontanei, essenziali. Così il nostro suono, fino a ora soprattutto minimalista, si è arricchito in bellezza.
Nei vostri lavori c’è sempre una particolare attenzione alle armonizzazioni vocali. Nel corso del disco vi scambiate canto e controcanto, prima e seconda voce. Come lavorate per trovare il giusto equilibrio tra di voi, dal momento che entrambe siete (come voi stesse vi definite) due leader?
Cristina: In realtà raramente io e Tati scriviamo armonizzazioni a tavolino. Per noi funziona molto bene il «buona la prima», quando una voce sta avanti, l’altra si fa controcanto spontaneamente e viceversa. E spesso quello che facciamo naturalmente in prima battuta viene mantenuto. Ogni tanto, anzi, ci poniamo il problema di armonizzare in modo più virtuoso, ma spesso non funziona. Come molti nostri ascoltatori ci hanno detto, forse la bellezza e la particolarità delle nostre voci insieme è proprio l’unisono. Riuscire a cantare una melodia sincopata o dilatata all’unisono, con naturalezza e espressività non è una cosa semplice, come potrebbe sembrare. Al tempo stesso, sì, questo è un progetto che ci obbliga a essere meno soliste in senso stretto e a portare la melodia insieme.
Il repertorio del disco spazia dalla musica brasiliana a quella italiana: eppure, nei vostri arrangiamenti, sembrano non esserci discrepanze. Esiste un terreno comune tra questi due universi musicali? quale?
Tati: Sono d’accordo. La musica che ci ha cresciuto è molto eclettica, ma senza dubbio una delle cose che abbiamo in comune nella nostra storia di vita io e Cristina è che durante i tempi di preziosa gavetta, i nostri diversi progetti e formazioni hanno sempre avuto la musica brasiliana come arteria pulsante. Viviamo la musica senza la necessità di usare le etichette dei generi a cui attingiamo, al di là dello scontato termine «contaminazione». Credo che l’incontro tra Italia e Brasile (che a sua volta è già frutto di una storia meticcia tra Europa, Africa e i nativi) ci porti a essere eredi di un linguaggio universale. La nostra musica si mescola e si fonde senza sforzo e ritengo che questa vicinanza sia frutto di due culture che si sono incontrate molto prima di noi.
Il primo disco vi ha viste interpreti, quest’ultimo quasi interamente autrici. Come si sono trasformate As Madalenas in dieci anni? Quali i punti di continuità e discontinuità con la Renzetti e la Valle di dieci anni fa?
Cristina: Abbiamo iniziato questa avventura all’inizio dei trent’anni, ora siamo arrivate ai quaranta. Ci siamo trasformate moltissimo come persone, come donne. Io, tanto per dirne una, in questo tempo sono diventata mamma di due bambini, cosa che ha ribaltato molte mie certezze e priorità. Non parliamo dell’avventura trasformatrice del Covid che tutti noi abbiamo attraversato. Ma la musica che ci lega, e che come diceva Tati è il collante del duo, credo che segua un filo rosso di continuità. Nella diversità delle nostre vite e anche dei nostri caratteri, quando imbracciamo una chitarra, o saliamo sul palco, la musica diventa un binario comune: ritmo, naturalezza, amore per le belle melodie e per le nostre lingue materne, brasiliane o italiane, voglia di condividerle con il pubblico.
La versione in portoghese di Coccodrillo di Samuele Bersani funziona straordinariamente bene. L’avete fatta ascoltare all’autore?
Tati: Sì, abbiamo avuto la «benedizione» di Bersani che ci ha permesso di renderla bilingue, e così è nato Crocodilo. Mentre pensavamo agli autori italiani che ci piacevano, Ferruccio ci ha proposto Bersani e subito Cri ha pensato a Coccodrillli e con grande entusiasmo abbiamo abbracciato la proposta. Ci siamo divertite tantissimo durante la ricerca della versione finale, questo pezzo ci fa sempre ballare e sorridere e nei nostri live l’effetto non è diverso!
Il disco esce per Jando Music e Via Veneto Jazz. quali sono le difficoltà e i vantaggi di fare musica come etichette indipendenti?
Cristina: Io penso che oggi fare un disco di musica come la nostra sia davvero un atto di passione e coraggio da parte delle etichette indipendenti, perché sappiamo benissimo che gli introiti sono quasi inesistenti se non si parla di ascolti in numero esorbitante. Quindi massima gratitudine per Giandomenico Ciaramella, un vero e proprio mecenate dei nostri tempi, e Matteo Pagano, che hanno reso possibile questo disco. Il vantaggio di lavorare con le etichette indipendenti è che di solito non c’è interferenza sulla produzione musicale, e questa libertà artistica per noi è sempre stata un valore imprescindibile.
È un disco denso, sia dal punto di vista tematico sia strumentale. Come si trasforma questo lavoro sul palco?
Tati: Abbiamo avuto una bella e ricca esperienza con il tour estivo che è iniziato con l’uscita dell’album il 19 maggio alla Casa del Jazz di Roma. Questa formazione ci ha fatto toccare palchi e piazze più grandi dal Veneto fino al Salento, in particolare a Vieste, con l’invito dell’amica Chiara Civello, un concerto in cui abbiamo ospitato Gabriele Mirabassi, che ci ha lasciato una grande voglia di libertà e di abbracciare questo nuovo sound che sta nascendo e maturando a ogni live.
Forse è ancora presto per parlarne, ma quali sono i progetti futuri?
Cristina: Adesso vogliamo goderci un po’ questo album e sentire le canzoni trasformarsi a ogni concerto. Una cosa che ci piacerebbe, e che sembra possa accadere, è allargare l’orizzonte dei live anche all’estero. Alla fine, cantare e condividere la musica sul palco è ciò che amiamo più fare.