Fabrizio, sei candidato al XXV Latin Grammy Award, nella categoria Mejor Album de Tango, per il disco «Tangos cruzados», al fianco dell’armonicista argentino Franco Luciani. Immagino che sia un grande risultato per te. Vorresti parlarci della collaborazione con Luciani e di questo disco?
Franco è un musicista che ho sempre stimato ma con cui non avevo mai lavorato. Nell’ottobre 2018 ero a Melilla suonando nella Cumbre Mundial del Tango (raduno internazionale itinerante di musicisti di Tango da tutto il mondo), e il direttore Tato Rebora mi propose di collaborare con Franco nel successivo Festival di Granada. Si è subito creata una simpatia e una connessione musicale e ci siamo proposti di rivederci. Dopo la pandemia Franco mi propose di accompagnarlo in due concerti in Italia.
Le due sessioni di registrazione dell’album sono state svolte in Italia, a Vinci (FI) nello studio Mulino del Ronzone e l’altra a Buenos Aires nello studio liberty, con la partecipazione del contrabbassista Pablo Motta. Abbiamo fatto un incrocio di culture ma anche di genere, suonando un celebre tango in tempo di vals e un celebre vals in tempo di tango. Le tracce registrate erano molte di più, ma abbiamo fatto una attenta selezione perché nel disco tutto fosse riferito direttamente al tango. Tra gli incroci del disco il brano composto da Franco Pazza e sensibile è stato scritto in Italia con un titolo italiano, mentre il mio Cruzando aguas è stato scritto a Buenos Aires con un titolo in spagnolo. Riguardo a questo pezzo era stato già pubblicato in un precedente lavoro discografico (cui ha dato il titolo) con il violinista argentino Fabian Bertero e i musicisti uruguayos Julio Cobelli e Jorge Pi. Quando abbiamo suonato il brano, Franco ha detto che voleva a tutti i costi registrare una sua versione, e forse questa è stata proprio la molla che ha fatto scattare la voglia di condividere un lavoro discografico. Anche altri particolari del disco mostrano questo incrocio, come la copertina, nata da una foto dell’argentino Mariano Bereseartu elaborata dall’Italiano Lorenzo Moriconi. La realizzazione sonora con l’argentino José Libertella per la sessione di Buenos Aires e l’Italiano Sergio Zanforlin per la parte italiana.
Cosa ti affascina della declinazione del tango come pianista?
Il Tango nasce come musica popolare con flauto, voce e chitarra. L’inserimento del pianoforte, degli archi e del bandoneon segna proprio l’evoluzione del genere. Spesso si fa un parallelo con il fado e il flamenco, che tendenzialmente hanno mantenuto formule più tradizionali. Il Tango si arricchisce prima di un timbro sinfonico con le grandi orchestre, e successivamente si impreziosisce di sonorità jazzistiche. La visita a Buenos Aires di Bill Evans è stata di un’importanza epocale. Fu proprio lo stesso Atilio Stampone, che l’aveva ricevuto e seguito, a raccontarmi diversi aneddoti e anche come il suo pianismo abbia saputo cambiare il modo di suonare di tutti i pianisti a venire, sia nel suono che nella coscienza armonica. Fu proprio l’incontro con Atilio a offrirmi una più ampia “mirada” sul tango come musica che offre possibilità di creare uno stile personale, e utilizzare armonie jazz e improvvisazione nel mio pianismo è stato davvero liberatorio. Un altro momento importante è l’incontro tra Dizzy Gillespie e l’orchestra di Osvaldo Fresedo, che nelle sue composizioni usa strutture armoniche dell’early Jazz. Un discorso merita anche il testo della Tango Canción, con poeti di grandissimo spessore e l’uso del lunfardo, lingua profondamente influenzata dagli emigranti italiani. A livello tecnico l’uso dei bassi e di una mano sinistra molto presente e pulsante a contrasto con suoni rarefatti come las campanitas. La vivacità di effetti ritmici e ricorsi tecnici atipici, vi assicuro cari pianisti: suonare tango è divertente!
Ti dividi tra Italia e Argentina? Dove ti trovi più a tuo agio?
Sono spesso in giro per concerti, in Italia e all’Estero. In America Latina, oltre che in Argentina anche in Colombia e Uruguay sono sicuramente dei porti sicuri dove mi sento bene e condivido bellissime e profonde amicizie. Pur essendo luoghi lontani, Buenos Aires e Montevideo mi riportano a casa, perché il fenomeno migratorio italiano verso queste due città, e anche verso la provincia di Santa Fé a metà dell’800, hanno veramente segnato una epoca, e profondamente influenzato la nascita del Tango. Non è affatto un caso che i cognomi delle grandi figure del tango siano quasi tutti italiani, come D’Arienzo, Troilo, Di Sarli, Canaro, Contursi, Esposito, Manzi e ovviamente Piazzolla. Il tango per me è il canto di nostalgia dei nostri emigranti che andavano a cercare fortuna al di là dell’oceano. Se Nik La Rocca, di Salaparuta, secondo molti è l’inventore del jazz, un altro siciliano Ignacio (Ignazio) Corsini, di Enna, è una figura emblematica, la cui fama al grande pubblico fu poi oscurata dalla mitologica figura di Carlos Gardel. Quando il Zorzal cominciava ad acquisire popolarità, Corsini era già un cantante affermato. Ho luoghi cari in tutto il mondo, ma gli odori, i sapori e soprattutto il mare della mia Sicilia sono per me luoghi sacri che mi ricordano da dove vengo e mi danno l’energia e l’ispirazione per affrontare questo difficile lavoro.
Il successo che hai in quelle latitudini non è alla pari di quello italiano. Cosa succede in Italia che non va?
Credo che il modo di suonare sia empaticamente più apprezzato in America Latina, ma ad ogni modo c’è sicuramente molto interesse verso le proposte musicali originali. In Italia non sono mai stato particolarmente apprezzato, speriamo in futuro di riuscire a raggiungere importanti platee anche nel nostro paese. In Italia per il tango non c’è una educazione all’ascolto, ma piuttosto è legato al ballo. Nel circuito sommerso delle Milonghe devo dire che comunque ho il mio discreto seguito. Per questo cerco sempre di diffondere l’idea di tango come musica viva, avendo anche la fortuna di collaborare occasionalmente con diversi Conservatori di Musica. Da queste esperienze nascono il progetto Swango con maestri e allievi del Conservatorio di Palermo, e la Tango Young Orchestra, una orchestra scuola con base a Firenze supportata da Pablo Tango e FaiTango. Con queste due realtà faccio concerti regolarmente in Italia e all’estero.
La tua passione per la musica latina e il tango in particolare come e quando nasce?
L’anno prossimo celebro le nozze d’argento con il Tango. Il Festival di Granada, in cui spesso mi esibisco, mi ha organizzato una piccola celebrazione nel marzo 2025, dove oltre a Luciani sarò con vari musicisti, tra cui Rubem Dantas. L’incontro con il tango avvenne nel Conservatorio di Firenze, dove stavo eseguendo, con scarsissimi risultati, una sonata di Schubert per pianoforte e violino. Si affaccia un giovane fisarmonicista con un nome curiosissimo, Modestino Musico. Anche lui doveva frequentare il corso di Musica da Camera, e propose al maestro la musica di Astor Piazzolla, di cui non avevo mai sentito parlare. Le testuali parole del maestro furono: prendi lui!, probabilmente per salvaguardare il povero compositore viennese. Nacque un quintetto con altri studenti che durò diversi anni e ci regalò belle soddisfazioni, e già la mia strada era segnata. Da lì è stato un punto di non ritorno, nel tango ho trovato una identità musicale.

Un’altra tua passione ricordo essere l’opera lirica. È ancora oggetto delle tue attenzioni artistiche?
L’opera lirica l’ho ereditata da mio padre, che era un affezionato ascoltatore. Proprio il mio disco d’esordio «Puccini Moods» rileggeva arie d’opera in trio jazz e a dicembre mi porterà al Teatro Real di Cordoba (in Argentina) con Gianmarco Scaglia ed Ettore Fioravanti, che registrarono con me diversi anni fa. L’occasione è il centenario dalla morte de compositore lucchese. Sempre con Gianmarco e Paul Wertico invece pubblicammo «Free The Opera!». Recentemente abbiamo avuto anche il privilegio di presentarlo a New York! Tra pochi giorni sarò in tour in Bulgaria con il progetto Recital CanTango con il grande tenore Fabio Armiliato, con cui abbiamo valorizzato il legame tra tango e belcanto omaggiando Carlos Gardel e Tito Schipa. Nel 2025 sarò pianista e arrangiatore del progetto The Three Tenors con cui sarò in tour in tutti gli Stati Uniti. Devo dire che l’opera lirica per me rappresenta un codice, un patrimonio che segna la nostra leggendaria cantabilità e gusto, e ci ha resi celebri in tutto il mondo. Purtroppo, nelle produzioni musicali di oggi questo patrimonio mi sembra poco considerato, e sarebbe veramente un danno enorme perderlo.
A tal proposito, a quali altri progetti stai lavorando e quali sono i tuoi prossimi impegni?
Ho presentato sul palco del Teatro Ariston di Sanremo, nell’ambito del Premio Tenco, il progetto «Bobo songs». Il progetto nasce da un triste evento, la scomparsa di Sergio Staino. Nella funzione civile nel Salone dei 500 di Palazzo Vecchio a Firenze, il figlio Michele, contrabbassista talentuoso, ha voluto me e Gianni Coscia al suo fianco per suonare i brani che Sergio amava tanto, il tango, Kurt Weill, Danzi e tanta altra bella musica. Il CD è stato pubblicato con la rivista “il Cantautore”, per l’occasione Cantastaino.
Le prossime pubblicazioni vedono un disco ibrido Tango e Jazz che ho registrato a New York in duo con Gianmarco Scaglia, celebrando i 15 anni di collaborazione, e che vedrà la partecipazione come ospite di Franco Luciani e altre sorprese. Finalmente, entro l’anno vedrà la luce anche una emozionante collaborazione con la cantante Omara Portuondo, che ha accettato di registrare piano e voce, cosa che mi ha riempito di gioia. Abbiamo anche in serbo un inedito scritto con il bravissimo poeta Santiago Larramendi.
A breve farò un piccolo tour in Italia e Spagna con la cantante argentina Sandra Luna, con cui ho pubblicato «De Sur a Sud» e con cui a brevissimo pubblicheremo la monografia “Habemus Troilo”, dedicata al musicista che fu da guida ad Astor Piazzolla, nei 110 anni della sua nascita. A dicembre invece un nuovo spettacolo per pianoforte e orchestra con la Varna State Simphony Orchestra, per la produzione del Teatro dell’Opera di Varna.
Che dire, non mi annoio di certo!
Alceste Ayroldi