Buongiorno Prof. Caporaletti e bentornato a Musica Jazz. Vorrei approfondire alcuni aspetti del convegno Extemporisation, Improvisation and Composition in Jazz: Analysing Enrico Pieranunzi’s European Trio, che si è tenuto presso il conservatorio Pergolesi di Fermo il 17 e 18 novembre. L’analisi ha avuto come oggetto il trio europeo di Enrico Pieranunzi. In primo luogo, come è nata l’idea di questo convegno e quali obiettivi si è prefisso?
Questa iniziativa si è attuata nel quadro del progetto di ricerca accademica di interesse nazionale finanziato dal MUR, Composition and Improvisation The Double Identity of European Music, che vede vari atenei associati (il Dipartimento di Musicologia di Pavia/Cremona, con il prof. Gianmario Borio in veste di principal investigator, Roma-La Sapienza, Roma-Tor Vergata, Cassino e Macerata). Questa ultima unità operativa, sotto la mia direzione, si occupa della parte jazzistica, mentre le altre spaziano in altri ambiti stilistico/storiografici, sempre focalizzando la ricerca nel rapporto tra composizione e improvvisazione musicale. L’idea di questo workshop era di sperimentare altre vie di indagine sulla musica che non fossero quelle tradizionali del convegno/relazione, bensì riunendo alcuni studiosi accademici per due giorni assieme a musicisti per cercare di far emergere nella interazione non solo discorsiva, ma anche performativa, delle “immagini dialettiche”, ossia delle figure di consapevolezza che identificassero i sensi profondi del fare musica improvvisata.
In seconda battuta, perché ha scelto proprio il trio europeo di Enrico Pieranunzi?
A Enrico Pieranunzi ho dedicato un volume di analisi e estetica musicale, in cui ho trascritto e analizzato nota per nota un brano di improvvisazione cosiddetta “libera” in duo pianistico con Enrico Intra. In quella sede ho identificato alcuni tratti della sua cifra stilistica, che ben si confanno con i criteri teorici che ho illustrato nella mia Teoria delle Musiche Audiotattili. Occorreva inoltre un gruppo rappresentativo europeo (e André Ceccarelli e Thomas Fonnesbaek sono eccezionali musicisti), e un pianista che non fosse solo un virtuoso ma anche un intellettuale in grado di misurarsi sul piano argomentativo nel contesto attuale del dibattito accademico universitario. E che avesse, inoltre, competenza di didattica conservatoriale “classica”. Pieranunzi corrisponde perfettamente a questi prerequisiti. E poi, la sua musica è oltre le categorie.
Come si è sviluppata l’analisi e come è stato articolato il dibattito?
L’analisi si è sviluppata nella interazione diretta, in forma di brainstorming, e continuerà nel lavoro “di laboratorio”. Sarà, infatti, compito mio nei prossimi mesi, a partire dalle registrazioni, trascrivere in notazione full score e analizzare la musica prodotta dal trio in relazione agli argomenti via via affrontati: il significato del groove, il senso dello swing, la legittimità della prospettiva interpretativa eurologica-afrologica, le possibilità di un jazz non afroamericano, i metodi didattici (interessantissima la discussione sull’uso didattico delle scale modali), le procedure armoniche avanzate, la sensibilità temporale nel farsi della creazione improvvisata, i criteri in cui prende forma nasce il fraseggio e tanti altri interessantissimi argomenti, compresi concetti che ho introdotto nel dibattito scientifico come il principio audiotattile, la estemporizzazione, la codifica neo-auratica, i processi improvvisativi A e B, o l’autografia musicale. Il taglio interdisciplinare e la presenza di vari specialisti ha fatto sì che non si parlasse solo di tecnica musicale ma anche di estetica, di antropologia, di ontologie musicali, fino all’ accesa discussione sulla controversa figura di Adorno.
L’elenco degli accademici intervenuti evidenzia una circostanza: non vi sono barriere precostituite, perché i prestigiosi nomi appartengono a un novero musicale molto ampio, non squisitamente jazzistico. Quali criteri ha utilizzato nell’invitare gli studiosi che hanno partecipato al dibattito?
I partecipanti al convegno (qui non vi è spazio per nominarli tutti) sono in gran parte quelli afferenti al PRIN: illustri musicologi, filosofi, compositori, etnomusicologi, e giovani ricercatori, ciascuno con una propria identità scientifica e una propria prospettiva disciplinare. Però mai prima d’ora vi era stata occasione per riunirli tutti insieme per interagire con musicisti jazz così rappresentativi mentre creano musica, dialogando in tempo reale su quello che si sta suonando.
La circostanza di non aver privilegiato l’estetica musicologica jazzistica è una metodologia che reputa qualitativamente migliore?
Oggi l’estetica musicologica jazzistica, per consensus gentium, è rappresentata dalla Teoria delle Musiche Audiotattili: e quanti vivono e amano le musiche di matrice cognitiva audiotattile – nel jazz, nel rock, nel pop – hanno capito quanto sia importante questa teoria per il loro universo creativo. Ormai i vecchi schemi interpretativi sono saltati, e chi si attarda su posizioni superate rischia di rimanere un marginale. Questa condivisione da parte dei musicologi di varia estrazione e dei musicisti (Pieranunzi è uno dei maggiori competenti di questa teoria) è stata tra gli aspetti più eclatanti di questo convegno. Ormai gli studiosi e i musicisti utilizzano, con estrema naturalezza, concetti molto complessi su cui lavoro da decenni che oggi sono diventati mainstream, e servono semplicemente come strumenti di comunicazione umana per approfondire la comprensione della creatività.
Possiamo dire che il principale obiettivo di questo convegno-workshop era analizzare forme, strutture, significati e prassi della creatività musicale. Ritiene che la creatività debba/possa essere codificata?
Qui non posso che riferirmi a ciò che afferma la Teoria delle musiche audiotattili. Nulla può essere completamente codificato, razionalizzato, perché vi sarà sempre un residuo, un quid che sfugge alla astrazione del pensiero. Ma ci si può accostare a qualcosa di simile alla verità se si unisce alla fiducia nel concetto la forza vitale d’impatto audiotattile, della sensibilità mimetica, emotiva e empatica. Allora, come delle costellazioni di immagini cominciano a formarsi che ci danno la intuitiva consapevolezza delle realtà delle cose. In questo senso io vedo la ricerca sulla dimensione artistica.
La forma del talk interattivo con Enrico Pieranunzi, Thomas Fonnesbaek e André Ceccarelli potrebbe aver alterato il loro reale percorso creativo: non crede?
Qui stiamo evidenziando un nodo problematico che riguarda l’essenza stessa della metodologia etnografica. È chiaro che gli strumenti/procedure di osservazione influenzano l’oggetto osservato. Però, proprio facendo mia questa consapevolezza, essendo anch’io musicista, ho cercato di entrare in medias res non da professore o asettico osservatore ma come partecipante empatico (anche fisicamente, ero sul palcoscenico durante le esecuzioni), stabilendo quel senso di rilassamento e spontaneità che è la precondizione per una riuscita artistica nella creazione in tempo reale, e non solo per quella.

I risultati di tale convegno saranno oggetto di un approfondimento?
Come accennavo, abbiamo intenzione di rendere disponibili sia le interazioni discorsive che hanno caratterizzato il workshop sia gli esiti performativi, ossia gli esempi che i musicisti suonavano – questi li pubblicherò sotto forma di trascrizioni e analisi musicali – quando si esemplificavano in concreto alcuni concetti. Poi si dovrà organizzate un altro convegno a verifica delle analisi.
Prof. Caporaletti, il convegno del 18 novembre è stato promosso dal Centro Interuniversitario per la Ricerca Musicologica. Può dirci qualcosa in più di questo organismo?
Il CeIRM è un centro di ricerca interuniversitario che consorzia l’Università di Macerata con i Conservatori di Pescara e Fermo, di cui ho assunto la direzione. È il primo esempio del genere in Italia, e fattivamente inaugura quella osmosi tra la musicologia universitaria e la ricerca artistica dei conservatori di musica, di vocazione più pragmatica, anticipando lo spirito della riforma degli ordinamenti in corso. Devo ringraziare per questo John McCourt, il rettore della Università di Macerata (presso cui sono professore di Musicologia Generale e Transculturale e Storia del jazz e delle musiche audiotattili), che ha impresso una svolta per quanto concerne la considerazione della cultura musicale in questo ateneo, riconvertendo una certa disattenzione che mi è sembrata caratterizzare passate governance. Solo il fatto che io abbia reso disponibile nel teatro Lauro Rossi di Macerata un concerto del trio europeo di Pieranunzi a titolo totalmente gratuito per la cittadinanza, mostra quante occasioni si siano perse nel passato, per non dire altro. Ma con il CeIRM la rotta è cambiata e questo consorzio potrà essere un volano per altre qualificate iniziative.
Prof. Caporaletti, se non sono indiscreto, potrebbe dirci a cos’altro sta lavorando in questo periodo?
È banale notare come l’antitesi suprema della creatività sia la noia, che per intima disposizione fuggo più della peste: perciò ho bisogno di occuparmi continuamente di cose nuove. Questo mi dà modo di spaziare in ambiti diversi che tengano alta “l’adrenalina” della ricerca. Ad esempio, nella collana Edizioni di Musiche Audiotattili che curo per la LIM, in cui sono presentate mie trascrizioni in notazione e analisi di musiche create in tempo reale – in partiture retrospettive redatte con un innovativo protocollo che ho ideato che garantisce l’assoluta fedeltà della trascrizione –, ho in preparazione la partitura integrale di un’opera di “musica contemporanea” aleatoria di Domenico Guaccero, nella estemporizzazione che ne dà Roberto Fabbriciani. Da notare che questo volume fa seguito a quelli su Jelly Roll Morton, Django Reinhardt, Pieranunzi/Intra: le scelte degli argomenti sono di per sé indicative del senso che assume la mia ricerca. E a segnalare la ricchezza e eterogenea comunanza delle esperienze audiotattili, seguirà la trascrizione integrale estensiva e dettagliata in notazione standard, sempre con il mio protocollo, di un brano eseguito alle launeddas da Efisio Melis, uno degli artisti audiotattili della cultura tradizionale sarda del primo Novecento. E ancora, ho ricevuto proprio in questi giorni il via libera dalla ECM per una impresa magnifica: la edizione integrale della partitura da me trascritta del Carnegie Hall Concert di Keith Jarrett, che sto analizzando nota per nota e che pubblicherò in un volume cui collaborerà Peter Elsdon (l’autore del famoso libro sul Köln Concert jarrettiano). Se aggiungiamo che stanno uscendo in contemporanea le versioni inglese, francese e in portoghese brasiliano del mio ultimo volume Teoria delle musiche audiotattili, si può dire oggettivamente che la musicologia che rappresento sta esportando nel mondo la creatività italiana. È qualcosa di molto importante che dedico ai miei fidatissimi collaboratori e studenti, che stanno facendo cose straordinarie di cui sentiremo parlare molto presto.
Alceste Ayroldi