Kris Davis «Diatom Ribbons»

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AUTORE

Kris Davis

TITOLO DEL DISCO

«Diatom Ribbons»

ETICHETTA

Pyroclastic


Chi sia aduso alle cose del jazz può ben comprendere quali siano (stati) i rischi di «reverse discrimination», in vario modo declinati, e non necessariamente da ricondurre a una radice razziale: ogni palizzata ideologica, ogni classificazione esasperata e settaria, ha generato riconoscimento e con esso sicurezza, appartenenza, comfort intellettuale. Ciò ad onta delle numerose petizioni di principio che, in questa musica, fanno pigro alone a concetti abusatissimi come: «meticciato», «ibridazione», «linguaggio», «dialetto», «pidgin» (o «grammelot» che dir si voglia). Perciò, non ci si dovrebbe stupire quando l’iconoclastia di un musicista, la ripulsa delle forme note possa ricondurlo verso di esse, dalle quali, in fondo ci si trova sempre a partire per disfarle. Questo è quel che precisamente avviene in questo album che Kris Davis dà alle stampe per la sua neonata casa discografica, offrendo l’ennesima dimostrazione di un eclettismo che non è mai stato superficiale maniera. Disco di studiatissima fattura, «Diatom Ribbons» si impernia su un trio insolito (pianoforte, manipolazioni elettroniche e batteria – e peraltro anche questa cellula primigenia si riduce talvolta a duo, come nella incantevole Sympodial Sunflower -) e sull’intervento di altri compagni di viaggio (reclutati tra i più fedeli collaboratori della pianista), via via come in dei pannelli narrativi scorrevoli. Così, se Dunn è l’ospite più ricorrente, gli altri compaiono in un paio di brani a testa (la Spalding, curiosamente alla voce). Il risultato è un’opera di estrema modernità e piacevolezza, che sa esaltare un senso di inatteso del tutto peculiare, fondendo improvvisazione, squarci rock, echi di Cecil Taylor (anche la sua voce, nel brano eponimo subito in apertura, in cui la Davis si cimenta con un pianoforte preparato) e suggestioni di contemporaneità. Nella riuscita dell’opera risulta essenziale il rigoroso senso della forma della Carrington, che in questo si appaia perfettamente alla leader, sia nei momenti in cui essa costruisce, sia in quelli in cui destruttura. Del pari significativo l’apporto di Cline e Ribot: il primo soprattutto in Rhizomes, dove è autore di un assolo lancinante e spezzato, ma anche in Certain Cells; il secondo nella torrida doppia coda di Golgi Complex (ove anche Cline torna nel finale). Reflections, come chiusura, prima assorta poi caotica, tumultuante e ritmata, esalta la presenza di Malaby e Allen, mentre Smith si conferma grande talento in Stone’s Throw. Una delle più belle uscite dell’anno a confermare la statura della pianista canadese, ancora giovane eppure già così ricca di allori.

Cerini

[da Musica Jazz di dicembre 2019]


DISTRIBUTORE

pyroclasticrecords.com

FORMAZIONE

Kris Davis (p.), Val Jeanty (elettr., giradischi), Terri Lyne Carrington (batt.); più Tony Malaby (ten.), JD Allen (ten.), Nels Cline (chit.), Marc Ribot (chit.), Ches Smith (vib.), Trevor Dunn (cb., b. el.), Esperanza Spalding (voc.).

DATA REGISTRAZIONE

Mount Vernon, ottobre 2018.

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