Amaro Freitas a MetJazz

Luci e ombre di un talento dall'identità ancora incompiuta

- Advertisement -

Prato, Teatro Metastasio

17 febbraio

Ormai aduso a frequentare il circuito concertistico italiano, il pianista brasiliano Amaro Freitas è stato protagonista di un concerto in solo, circondato da molte aspettative, nell’ambito della XXX edizione della rassegna pratese MetJazz. Originario del Pernambuco, stato del Nordeste, Freitas è depositario del patrimonio afrobrasiliano caratteristico di quell’area. Questa eredità si manifesta nel suo approccio percussivo alla tastiera, contraddistinto dalle seguenti peculiarità: le martellanti incursioni con cui esplora il nucleo melodico delle composizioni; i possenti contrafforti accordali sul registro grave; le preparazioni sulla cordiera dello strumento, mediante le quali evoca le timbriche di strumenti etnici. Vengono alla mente, ad esempio, il berimbau (brasiliano, ma importato attraverso gli schiavi africani) o la m’bira, diffusa nell’Africa subsahariana.

Questi tratti distintivi emergono prepotentemente – veicolati da linee scorrevoli e, in alcuni frangenti, addirittura debordanti – in un’esecuzione lunga e torrenziale, in cui Freitas inserisce segmenti del tema di Footprints di Wayne Shorter. In buona sostanza, è questa la cifra identitaria di Freitas, profondamente radicata nell’humus nordestino. Tuttavia, laddove viene riproposta e replicata ad libitum tramite lo stesso procedimento esecutivo (cioè, quello scavo ossessivo nei risvolti di un nucleo tematico o di una cellula ritmica), può alla lunga risultare stucchevole.

In altre circostanze, i richiami al folklore amazzonico – prodotti mediante campionamenti di frammenti melodici e inserti vocali – non aggiungono niente di sostanziale. Anzi, rischiano di far scivolare il discorso sul terreno paludoso di una world music di maniera. Inoltre, la frequente ricerca di facili soluzioni melodiche (a onor del vero accattivanti per buona parte del pubblico) costituisce un’arma a doppio taglio. In altre parole, un rifugio comodo e sicuro per non accollarsi il rischio di invenzioni che rompano gli schemi. Non parliamo poi dell’ormai diffuso e trito rituale che prevede il coinvolgimento degli spettatori nella riproduzione corale di semplici cellule melodiche (nella circostanza con tanto di torce degli smartphone accese!), in nome di una presunta quanto artificiale comunione.

Tanto vale, e tanto meglio allora, appigliarsi alla suadente melodia di Clube da Esquina di Milton Nascimento, degno tributo a un grande esponente della musica brasiliana. Una soluzione quantomeno coerente con il retroterra culturale del 33enne talentuoso pianista, che però non sembra ancora aver individuato e definito una sua compiuta cifra stilistica.

Enzo Boddi

Foto di Marco Benvenuti

- Advertisement -

Iscriviti alla nostra newsletter

Iscriviti subito alla nostra newsletter per ricevere le ultime notizie sul JAZZ internazionale

Autorizzo il trattamento dei miei dati personali (ai sensi dell'art. 7 del GDPR 2016/679 e della normativa nazionale vigente).