Milton Nascimento, la leggenda sbeffeggiata dai Grammy

Al grande artista brasiliano non viene concesso di sedersi ai tavoli della manifestazione.

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Abito nero, camicia bianca e una coppola siciliana inclinata appena, a schermare il sole spietato della California. Milton Nascimento avanza sul tappeto rosso della Crypto.com Arena di Los Angeles con la lentezza solenne di chi non ha più nulla da dimostrare. Al suo fianco, a sorreggerlo con affetto e rispetto, c’è Esperanza Spalding, la contrabbassista americana con cui ha dato vita a «Milton + Esperanza», un’opera di straordinaria delicatezza e profondità artistica, in corsa per il Grammy al Miglior Disco Jazz Vocale.
I flash dei fotografi crepitano intorno a lui, gli artisti si accalcano per un selfie con il gigante della musica brasiliana. È la 67ª edizione dei Grammy Awards, la notte in cui il mondo dovrebbe celebrarne il talento e la sua eredità senza tempo. Eppure, qualcosa stona. Qualcosa, nel rigido cerimoniale di questa industria, sembra non voler rendere omaggio come si deve a una leggenda vivente.
È il momento di accomodarsi ai tavoli. Gli artisti prendono posto, il brusio della sala si mescola alle ultime istruzioni della produzione. Ma quando Milton Nascimento si avvicina per sedersi, qualcosa si incrina nel cerimoniale patinato della serata. Un addetto lo ferma, gli chiede di attendere.
All’inizio, l’entourage di Esperanza Spalding – più ancora di quello di Milton – sorride, incredulo. Dev’esserci un malinteso. Ma quando le proteste si fanno più insistenti, la risposta arriva, secca, surreale: «Ai tavoli si siedono solo gli artisti che vogliamo far apparire in TV».
Il messaggio è chiaro. Milton non è abbastanza fotogenico per la cerimonia, non è abbastanza «spendibile». Al suo posto, gli hanno riservato una poltrona sugli spalti, lontano dai riflettori, lontano da quel posto che gli spetterebbe di diritto. Nessuna trattativa. Nessun ripensamento.

Esperanza Spalding & Milton Nascimento by Lucas Nogueira

Alla fine, «la voce di Dio» decide di tornarsene in albergo, silenziosa e fiera. Esperanza, invece, resta. Ma ogni volta che le telecamere inquadrano il suo tavolo, solleva la foto di Milton con una scritta inequivocabile: «Lui avrebbe dovuto essere seduto qui».
Ne viene da dedurre, allora, che per i Grammy non basta essere una leggenda, non basta aver scritto pagine indelebili della musica mondiale. No, per essere riconosciuti in questa cerimonia bisogna essere «spendibili», inquadrabili nel format perfetto per lo show televisivo, pronti a incarnare l’immagine che l’industria vuole vendere. E se non rientri nei loro schemi, poco importa che tu abbia ispirato generazioni di musicisti, che la tua voce sia stata definita «divina», che il tuo contributo alla musica sia stato inestimabile. Ti lasciano fuori. O, peggio, ti confinano sugli spalti, come uno spettatore qualunque.
Quel che preoccupa di più, però, è il fatto che un’istituzione maestosa come quella dei Grammy non lo faccia per svista, ma per una scelta deliberata che, nel corso della sua storia si è consolidata anno dopo anno. Non è certo la prima volta che i Grammy dimostrano la loro miopia culturale e i loro pregiudizi sistemici verso la musica del Sud del mondo. Da sempre, la Recording Academy fatica a riconoscere il valore artistico di chi non rientra nei canoni della musica anglofona, confinando capolavori rivoluzionari in categorie di nicchia o ignorandoli del tutto.
Negli anni Sessanta, mentre la bossa nova conquistava il mondo, l’Academy si limitava a trattarla come una curiosità esotica, senza mai concederle lo spazio che meritava. António Carlos Jobim, il compositore di Garota de Ipanema, una delle canzoni più registrate della storia, fu ignorato per decenni, ricevendo solo un Grammy postumo nel 1995. Lo stesso trattamento fu riservato a João Gilberto nel 1965, quando l’album «Getz/Gilberto» (1964), che include Garota de Ipanema, vinse il Grammy per Album of the Year. Il riconoscimento, però, non andò a João Gilberto, vero cuore pulsante del progetto, ma venne assegnato ufficialmente a Stan Getz e al produttore Creed Taylor. Gilberto, che aveva rivoluzionato il modo di suonare e cantare la musica brasiliana, rimase escluso dai riconoscimenti individuali.

Milton Nascimento & Esperanza Spalding
Foto tratta dal profilo Instagram

Non sarebbe stata l’ultima volta che la Recording Academy avrebbe dimostrato di non saper gestire il proprio rapporto con la musica del Sud del mondo. João Gilberto avrebbe dovuto aspettare fino al 1999 per ricevere il suo primo e unico Grammy, nella categoria «Best World Music Album» per «João Voz e Violão». Un premio che, se da un lato riconosceva il suo valore, dall’altro lo confinava ancora una volta in una categoria secondaria, lontana dalle sezioni più prestigiose. Solo nel 2001, con un Latin Grammy alla carriera, arrivò un tardivo riconoscimento al suo impatto globale. Ma, a quel punto, João Gilberto aveva già riscritto la storia della musica senza bisogno dell’Academy.
Quando, alla fine degli anni Novanta, la pressione dell’industria latina divenne troppo grande per essere ignorata, i Grammy trovarono la soluzione perfetta: invece di integrare la musica latina nelle categorie principali, decisero di isolarla del tutto, creando i Latin Grammies. Da quel momento, artisti che dominavano le classifiche globali furono confinati in una cerimonia parallela, lontani dai riflettori principali. La separazione era compiuta, e con essa l’idea che la musica in lingua spagnola o portoghese appartenesse a un altro campionato, uno che non poteva competere con le grandi produzioni angloamericane.
L’esclusione degli artisti latini e del Sud del mondo è diventata così una tradizione. Caetano Veloso, che negli anni Settanta aveva già pubblicato capolavori in lingua inglese come «Transa» – per non citare l’impatto del tropicalismo sulla musica internazionale – vincerà il Latin Grammy alla Persona dell’Anno soltanto nel 1999, un riconoscimento che sapeva di premio di consolazione, come se l’Academy gli stesse dicendo: sì, sei importante, ma solo nel tuo mondo. Nel frattempo, il suo nome continuava a non comparire nelle categorie principali della cerimonia madre, quelle che contano davvero.
Ma la miopia non si ferma alla musica latina. L’intero Sud globale è trattato come un bacino di talenti da premiare senza troppa convinzione, relegato a categorie come Best Global Music Album, un termine che suona più come un contenitore per l’“altro” che come un vero riconoscimento. Fela Kuti, pioniere dell’afrobeat, non ha mai ricevuto un Grammy in vita, mentre la sua influenza si espandeva ben oltre l’Africa. Miriam Makeba, la voce dell’Africa nera, venne riconosciuta solo dopo decenni, quando ormai la sua carriera aveva già inciso la storia della musica senza il bisogno di un premio tardivo.
Più di recente, nel 2023, Bad Bunny ha visto il suo «Un Verano Sin Ti», l’album più ascoltato dell’anno a livello globale, relegato a una nomination nelle categorie latine, mentre i Grammy facevano finta di non vedere il suo impatto sul pop mondiale. Come se non bastasse, la sua performance alla cerimonia venne trasmessa con i sottotitoli che recitavano: CANTA IN LINGUA STRANIERA, un dettaglio che dice più di mille parole sulla visione ristretta della Recording Academy.
Milton Nascimento, insomma, non è che l’ultimo tassello di un mosaico di esclusioni, pregiudizi e scelte pilotate. Il suo trattamento non è stato un incidente, né una svista: è il riflesso di un sistema che, anno dopo anno, decide chi può essere celebrato e chi deve restare ai margini, chi merita un posto d’onore e chi può essere sacrificato senza troppe scuse.
E così, nel 2025, mentre il mondo lo riconosce come una leggenda vivente, mentre la sua voce continua a ispirare generazioni di musicisti, mentre il pubblico lo acclama con rispetto e ammirazione, Milton Nascimento lascia la cerimonia da cui avrebbe dovuto essere onorato e torna in albergo, escluso da un evento che, in fondo, non è mai stato pensato per lui.
Chi ha perso? Certamente non lui. Milton è già entrato nella storia da decenni, senza bisogno di un premio tardivo o di una sedia in prima fila. A rimanere prigionieri sono i Grammy stessi, inchiodati alla loro miopia culturale, alla loro incapacità di riconoscere il genio quando non rientra nelle coordinate imposte dal mercato.
Il problema, a questo punto, non è più chiedersi perché i Grammy abbiano trattato così Milton Nascimento. Il vero quesito è: perché continuiamo a dar loro importanza?
Pietro Scaramuzzo

 

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