«Desert Island»: il primo disco dei Youlook. Intervista ad Aldo Mella (1/2)

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Youlook, alias Luisa Cottifogli, Gigi Biolcati e Aldo Mella. Un’idea, un progetto che ha già dato il suo primo frutto: «Desert Island», album inciso per l’Up Art. Ne parliamo con Aldo Mella (prima parte).

Come è nata l’idea Desert Island? Chi è stato il primo promotore?

Il trio nasce da una mia vecchia che idea che ho ripreso dopo l’incontro con Luisa Cottifogli e Gigi Biolcati. Loro erano i musicisti che ci volevano per far funzionare questo progetto. Il titolo Desert Island è nato in concomitanza con il crowdfunding che abbiamo fatto per finanziare questo nostro primo lavoro. Abbiamo semplicemente immaginato un titolo che riflettesse le diverse scelte stilistiche dei brani, cioè la musica che ci saremmo portati su di un’isola deserta!

Teoricamente non c’è nessuno strumento armonico, ma non se ne sente la mancanza. Avete tratto ispirazione da qualche precedente esperienza?

In realtà uno strumento armonico c’è, ed è il basso elettrico sei corde, che mi dà la possibilità, come si può ascoltare in diversi brani, di usarlo come una chitarra, o meglio un’arpone e non solo (vedi  Shine On You Crazy Diamond). Per quanto riguarda l’ispirazione posso dire di non aver preso spunto  da nessuno in particolare, sono sempre stato affascinato dal suono che poteva emergere da questa formazione  minimale, con a disposizione un sacco di timbri diversi e particolari attraverso l’uso dei due strumenti (basso e contrabbasso) e in questo caso specifico dalla moltitudine di colori delle percussioni di Gigi Biolcati e dalla poliedricità vocale di Luisa Cottifogli.

In «Youlook», molte sono vostre composizioni. Poi, ci sono alcune cover come Afro Blue, Meu amanha, Manha do carnaval. Ma spiccano due brani, soprattutto: Angie dei Rolling Stones e Shine On You Crazy Diamond dei Pink Floyd.

La scelta dei brani è stata prevalentemente legata ai nostri gusti personali, o come nel caso di Manha do carnaval di cui è stata tenuta la prima versione registrata il primo giorno che ci siamo incontrati  in studio. La filosofia di questo trio è di fare ciò che funziona e ciò che ci piace di più senza nessun tipo di  pregiudizio stilistico. Il brano degli Stones appartiene alla musica con cui siamo cresciuti. Questa versione in tre quarti la trovo interessante, abbiamo capito immediatamente che avrebbe retto con questa orchestrazione! Idem per Shine On You Crazy Diamond. Siamo restati colpiti da una versione acustica voce e chitarra del cantante irlandese Christy Moore e da lì l’idea di riprenderla con il basso elettrico che sfrutta i suoni armonici e quello di chitarra nell’assolo.

Perché «Youlook»? Nel booklet parlate di principi «youlookiani»: quali sarebbero?

«Youlook» è semplicemente un gioco di parole con un termine piemontese che significa ”gli allocchi”(vedi il logo youlook). Per quanto riguarda i principi «youlookiani» il discorso si ricollega alla risposta precedente, e cioè muoversi all’interno della musica senza porre limiti stilistici e compositivi. Con questa formazione si ha il vantaggio di scoprire molto velocemente cosa può o non può funzionare.

C’è un’anima rock in questo trio?

In qualche modo penso di sì. Apparteniamo tutti ad una generazione di musicisti cresciuti con il rock. Anche perché la musica pop (rock) in quegli anni era musica con radici più legate al passato. Penso addirittura che le influenze musicali di altri generi fossero maggiori di quelle di adesso, nonostante ci fossero meno mezzi di divulgazione, ed il passato è importante tenerlo sempre presente!

C’è un accenno di funky nei ventisei secondi di Funkympro e un minuto e dodici secondi di techno con Technimpro. Preludi per un secondo disco o solo divertissement?

Nell’ultima ora in studio di una seduta di registrazione, abbiamo deciso di improvvisare partendo da suoni particolari del basso o della voce o da qualche idea ritmica, e il risultato di questa registrazione sono stati una serie di brani di cui abbiamo deciso di tenere quelli contenuti nel cd. Penso che per il prossimo lavoro discografico, in ogni caso, cercheremo di mantenere aperte entrambe le possibilità tra composizioni strutturate e brani totalmente improvvisati.

Tra l’altro, avete dato prova che ogni genere può essere improvvisato, anche le fredde e ossessive note della techno…

Penso che l’improvvisazione in sé contenga questo privilegio. Non è tanto importante su cosa improvvisi, ma come improvvisi. Non a caso il jazz ha attinto per il suo linguaggio  da molti stili musicali e composizioni differenti. Basti pensare nella storia di questa musica a tutti gli esempi che abbiamo: John Coltrane con My Favorite Things mi sembra un esempio calzante, che dà l’idea di come anche una semplice canzone possa essere trasformata dall’improvvisazione e dalla personalità di un’artista, in questo caso immensa!

Alceste Ayroldi

[leggi la seconda parte dell’intervista a Aldo Mella]