«YASMIN». INTERVISTA A JAKOB DINESEN

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Il sassofonista danese Jakob Dinesen ha da poco pubblicato il suo nuovo album «Yasmin». Ne parliamo con lui.

Mr Dinesen, partiamo dal suo ultimo lavoro «Yasmin». Sembra che, rispetto al precedente album «Instant Family» abbia intrapreso una nuova via, più tradizionale.

Non mi preoccupa la distinzione tra musica moderna o tradizionale. La mia unica preoccupazione è la stessa di Duke Ellington: buona musica o cattiva musica. Amo la buona musica e cerco di suonare con l’anima, onestamente e senza altri problemi. «Yasmin» è dedicata alla mia fresca sposa, la cantante Yasmin: ecco perché ho voluto fare un album romantico.

Quale suono ha voluto ricreare con lo String Quartet?

Ho sempre amato i lavori di Charlie Parker, Ben Webster, Art Pepper, Stan Getz con gli archi e ho voluto fare qualcosa in quel senso. Ho suonato con gli archi quando ero al fianco del più popolare cantante pop danese, Thomas Helmig. Così ho provato quanto fosse meraviglioso guidare il fantastico suono di quei strumenti.

Ha suonato con un nuovo combo (sarebbe meglio dire, con due nuovi gruppi). Ci parlerebbe dei suoi musicisti?

Durante le mie permanenze a Bangkok, ho conosciuto il pianista thailandese Darin Pantoomkolol. Amo suonare le ballad con lui, così ho incentrato l’album su questa via. Poi, ho inserito la mia sezione ritmica danese favorita e ho aggiunto gli arrangiamenti per gli archi creati dai miei amici Magnus Hjort e Nicolai Torp Larsen. Per i brani senza il quartetto d’archi ho voluto il leggendario bassista Hugo Rasmussen. In Danimarca tutti lo amano per il suo suono caldo e per la sua personalità: adoro suonare con lui. Lui è anche il mio mentore e ha anche suonato con alcuni grandi maestri come Ben Webster, Dexter Gordon, Coleman Hawkins e molti altri. Ho imparato tantissimo da lui, sia della musica che della vita.

Lei spesso cambia i musicisti delle sue formazioni. In generale, cosa chiede ai suoi musicisti?

Sono sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da scoprire e ci sono molti meravigliosi musicisti capaci di offrirmi nuove avventure, nuove esperienze. Cerco di scegliere i musicisti che mi emozionamo. Non mi piace parlare molto di come la gente dovrebbe suonare, mi piace la gente che prende le proprie decisioni e, se mi piacciono, si può suonare insieme.

Nel suo disco sembra di sentire il suono del sassofono tenore di Ben Webster unito a quello di Stan Getz. Sono i suoi sassofonisti preferiti?

Ben e Stan sono sicuramente tra  i miei favoriti, ma ne amo anche molti altri come Sonny Rollins, Lester Young, Coleman Hawkins, Eddie «Lockjaw» Davis, Charlie Parker, Warne Marsh, John Coltrane, Joe Henderson, Wayne Shorter, Eddie Harris e la lista potrebbe continuare…

Ci diceva che l’album è dedicato a Yasmin.

Sì, Yasmin è la mia bellissima moglie. Lei è una cantante meravigliosa e abbiamo suonato insieme in tutto il mondo, dall’Africa all’Asia. Ora abbiamo un figlio che ha sette mesi Milton, che è diventato parte della nostra avventura.

Pare che lei abbia scelto di vivere l’inverno a Bangkok e l’estate in Danimarca. Perché ha scelto proprio la Tailandia e cosa può dirci della scena jazz tailandese?

Negli ultimi cinque anni abbiamo trovato gioia e affinità spirituale con Bangkok. I thai amano uscire e divertirsi e amano la musica dal vivo. Il loro adorato Re Bhumibol Adulyadej è un sassofonista, compositore e amante del jazz.  Ha invitato tutti i grandi jazzisti americani a suonare nel suo palazzo. Questo significa anche che in Tailandia ci sono tante opportunità di suonare. I lavoro in grandi gruppi di Bangkok e Singapore e adoro il modo dei thai di confrontarsi nelle situazioni lavorative. C’è rispetto, felicità e atmosfere sorridenti. Naturalmente, così evitiamo anche il terribile grigio e freddo inverno scandinavo, godendoci il caldo e assolato clima del Sud Est asiatico.

Lei ha suonato con tanti musicisti. Ce ne è uno in particolare che l’ha colpita?

Se devo scegliere una persona, vorrei parlare di Paul Motian. Ha suonato nei miei dischi «Around», dove è presente anche Kurt Rosenwinkel, e «Dino». Non potrò mai dimenticare l’empatia fisica e spirituale che c’era quando suonavo con lui. Anche se aveva ottant’anni, parlava come un ragazzino ed era diretto, non un contapalle. La sua musica era l’essenza della musica, così dimenticavi la differenza tra jazz tradizionale e moderno e pensavi solo quanto grande ti facesse sentire la musica. E’ stato uno dei pochi ritenuto moderno che ha potuto suonare senza creare problemi intellettuali, d’interpretazione. Amo tutta la sua musica: dal trio di Bill Evans alle band con Bill Frisell e Joe Lovano.

A proposito del suo album «Dino’s Afro-Cuban Dream». Come mai ha dedicato un lavoro alla musica afro-cubana e come le è venuta in mente la brillante idea di inserire la kora in questo combo?

Incontrai dei percussionisti danesi che si erano innamorati dei rituali musicali cubani, che ammaliarono anche me, così trascorsi molti inverni a L’Avana per studiare la musica della Santeria e altre musiche. Lì ebbi modo di suonare con molti grandi musicisti cubani, frequentai un sacco di parties: fu un periodo fantastico. Incontrai anche il suonatore di kora del Gambia Dawda Jobareth che mi portò in giro tra Gambia, Senegal e Mali dove ho conosciuto e suonato con tanti fantastici musicisti. E’ stato profondamente educativo per me e amo tutta questa musica. Ho voluto unire questi miei differenti amori da Cuba all’Africa Ovest e così è nato «Dino’s Afro-Cuban Dream».

Chi o cosa ispira le sue composizioni?

Le mie composizioni sono principalmente ispirate dagli eventi della mia vita personale che mi hanno colpito. Cerco di tradurre questo sentimento in un brano. Se va tutto bene, possiamo divertirci nel suonarlo.

Cosa pensa della scena jazzistica danese?

Sono molto grato alla scena jazzistica danese e, più in generale, a quella musicale. Non penso che esista una città europea con così tante possibilità per poter suonare. A essere critico, penso che in alcuni casi la nostra musica stia diventando troppo intellettuale. Mi piace la musica che è sincera, pura e celebri la vita che ci è stata donata.

Quali sono i suoi prossimi impegni?

I miei prossimi impegni sono: essere un buon marito e padre. Inoltre, cercare persone nuove e fare grande e significativa musica per tutto il mondo. Mi piace creare ponti tra popoli e culture. C’è tanta gioia e significati profondi che si possono trovare in questi incontri, se ti avvicini con rispetto, dedizione e, ovviamente, con amore.

Alceste Ayroldi