Sofia Project parla Nicole Johänntgen

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Nicole  Johänntgen, sassofonista e compositrice tedesca, è la promotrice del progetto Sofia, una band di sole ragazze di diverse nazionalità. A breve sarà pubblicato il loro primo lavoro discografico. Ne abbiamo parlato con lei.

Nicole, ci diresti qualcosa sul tuo passato artistico e non?

Con piacere! Il mio passato è un po’ come il pazzo West. I miei primi ricordi risalgono a quando da piccolina toccavo i tasti del pianoforte e il suono mi affascinava. Sono nata in un piccolo paesino. Mia madre e mio padre sono gli artefici della mia carriera di musicista: mi comprarono un sassofono e mi mostrarono la via della musica. Mia padre era il leader della Joe Fuchs Band: aveva una splendida barba rossa. Insieme suonavamo alcuni standard jazz; lui suonava il trombone, la chitarra e cantava: era un vero entertainer. Mio fratello suona il pianoforte e mia madre ci supporta in ogni modo. Mia madre è la migliore del mondo: è così tranquilla, equilibrata e meravigliosa! Suonavamo un po’ dappertutto, ai matrimoni, alle feste di compleanno, nelle piazze. Poi, ho iniziato a suonare in un’orchestra jazz di giovani che mi ha portato verso le sonorità di Cannonball Adderly, che è ancora la mia passione più grande! In realtà, avevo a mente di trovarmi un posto in banca da affiancare al jazz. Poi, il mio ex ragazzo mi spinse a sostenere un preesame per studiare jazz. A quel tempo, suonavo molto pop e soul, più del jazz. Ho studiato a  Mannheim alla Hochschule für Musik und darstellende Kunst; poi, dal 2005 mi sono spostata a Zurigo. Attualmente vivo a New York. Nel 2015 ho avuto il privilegio di vincere il Jti Trier Jazz Award che mi ha concesso la possibilità di stabilirmi a New York per sei mesi. Tutto ciò grazie al supporto fornito dal dipartimento cultura della città di Zurigo. E ora, sto lavorando alla mia prima sinfonia dal titolo: New York Simphony.

In cosa consiste il progetto Sofia?

Sofia è l’acronimo di Support Of Female Improvising Artists. Si tratta di un workshop di una settimana affinché i musicisti apprendano maggiori conoscenze nei settori del music-business, della salute e della musica in generale. Sofia si tiene ogni due anni ed è un progetto internazionale. La nostra sede principale è in Svizzera. Ogni musicista jazz di sesso femminile fare domanda per partecipare sei mesi prima dell’inizio del programma condividendo link video e/o audio. Dopo di che, dovranno partecipare alla settimana di workshop in Svizzera. Poniamo principalmente l’attenzione sulle donne, ma la partecipazione è consentita a tutti come uditori e la visita dei laboratori è libera. La band che ne è nata, è un collettivo aperto.

Perché solo per donne?

Con il mio partner del progetto Claudio Cappellari, direttore del jazz club Moods di Zurigo, abbiamo deciso di focalizzare l’attenzione sulle donne per una questione legata alla rete di contatti. Questi ci hanno consentito di unirci alla Francia, Germania, Svizzera e così via. Si condividono esperienze, progetti e conoscenze e si lavora in gruppo.

Nella tua musica si sentono diverse influenze: fusion, groove, tradizione. Qual è il tuo metodo di lavoro?

Non ho un metodo: compongo solo ciò che mi viene in testa. E, così come il mio contesto culturale è fatto di tutti i generi musicali, il mio cervello elabora cose differenti. C’è un rapporto tra tutto ciò: sono una compositrice che ci mette il cuore. Voglio dire che compongo tutto ciò che salta fuori dal mio cuore e si possono trovare tutti i generi musicali racchiusi lì dentro.

Secondo te, qual è la situazione delle donne nell’universo jazzistico?

Non ce ne sono molte, ma quelle che ci, per la maggior parte, sono spontanee. In altre parole: sono fantastiche! Quelle che ho incontrato, sono eccezionali dal punto di vista umano e splendide musiciste. In generale, poi, sarebbe bello che fosse dato più spazio al jazz anche dalle emittenti radiofoniche.

Chi ti ha spinto a suonare il sassofono?

Chi mi ha ispirato è stata la sassofonista olandese Candy Dulfer. E’ stato un grande inizio per me: era il mio modello, il mio idolo. L’energia che sprigionava la sua band era magnetizzante. E lo è ancora oggi!

Sei una musicista jazz europea. Pensi che il futuro del jazz sia sempre statunitense?

Il jazz non è un oggetto fragile. Lo si può trovare in ogni parte del mondo.

Invece, a proposito della tua Swiss Band NJQ cosa puoi dirci?

Ho fondato questo gruppo perché volevo iniziare con una band acustica. Avevo, e ho ancora, il mio combo elettrico con mio fratello Stefan Johänntgen e si chiama Nicole Jo. Dopo alcuni anni che vivevo in Svizzera, ho sentito la necessità di creare un mio gruppo svizzero e, così, producemmo il cd «Moncaup». Avevo diverse idee per la testa e volevo dare spazio a ognuna di esse sul disco. Una buona mano di aiuto nella divulgazione di questo album mi è stata data dalla radio Srf 2. Loro supportano i giovani musicisti e così è nato il primo lavoro discografico. Moncaup è un piccola cittadina a sud-ovest della Francia vicino ai confini con la Spagna, dove è nata mia madre. Sono in parte francese, specialmente il mio naso!

La tua musica, il tuo essere improvvisatrice, condiziona il tuo stile di vita?

Sì, senza dubbio.

Tra le tue collaborazioni, quali sono quelle che ti hanno maggiormente influenzato?

Dave Liebman, il mio più grande idolo. Poi, la colonna sonora di James Horner del film A Beatiful Mind, che unisce il jazz con la musica classica. Ho promesso a me stessa di voler fare lo stesso!

Quali sono i tuoi impegni futuri?

A lungo termine, sto lavorando alla mia New York Symphony che vorrei realizzare con un’orchestra sinfonica nei prossimi due anni. A breve termine, invece, mi piacerebbe registrare un cd dal vivo a New York e New Orleans.

Alceste Ayroldi