«RESILIENCY». INTERVISTA A MILENA ANGELÈ

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Milena, è la sua opera prima da leader?

Sì. Mi sono diplomata in sassofono al conservatorio Licinio Refice di Frosinone; in composizione e arrangiamento jazz al conservatorio Santa Cecilia di Roma. Ho suonato in vari contesti, formazioni, generi musicali e ho inciso album, ma non a mio nome. Alla fine ho sentito l’esigenza di mettere in musica, in un mio progetto personale, tutte le esperienze fatte nel corso degli anni.

Perché ha scelto come titolo «Resiliency»?

Il termine resilienza ha molte accezioni a seconda del contesto in cui si utilizza. Il concetto di  resilienza per me è un viaggio musicale in cui ci si arricchisce se si ha la capacità di resistere agli urti, di far fronte agli imprevisti, rinnovandosi continuamente. Essere elastici nella gioia e soddisfazione di suonare, ma anche nei dubbi e nelle difficoltà. Ho percorso un cammino musicale tortuoso, ma alla fine ho resistito e ho dato un senso a tutte queste mie esperienze musicali e personali in questo disco; ho messo un punto a questa mia prima fase musicale documentandola in maniera sincera, onesta.

Anche nelle cover mette in evidenza un linguaggio molto personale. Quali sono le sue inflessioni e quali le sue influenze?

Mentre preparavo questo progetto e scrivevo i mie brani ascoltavo spesso gli ultimi dischi di Charles Lloyd, in cui il suo modo di suonare è estremamente rarefatto, poetico, ma sempre melodico. Nello stesso periodo ho ascoltato anche però Mark Turner, Mike Moreno, Kurt Rosenwinkel, Aaron Parks, e di questo ascolto ho assorbito anche la loro modernità nella composizione, utilizzando spesso tempi dispari, anche cambi di tempo nello stesso brano, ma senza perdere il senso della melodia.

Si sente più orientata verso il suono europeo o quello statunitense?

Ascolto sia la musica europea che quella statunitense e prendo quel che mi piace di più da entrambe, anche se forse un certo genere di jazz di tutti e due i continenti sta diventando troppo cerebrale per i miei gusti. Per me la melodia è fondamentale, forse perché ancora ascolto e amo i vecchi standard, e se un tema non me lo ricordo perché troppo «astruso» per me non funziona, magari può essere interessante per la complessità  armonica o ritmica, ma alla fine non mi prende allo stomaco, non mi emoziona.

Possiamo parlare di quartetto o di quintetto? Come ha formato il gruppo?

La formazione di base è il quartetto, ma ho sentito l’esigenza di inserire il suono della chitarra in alcuni brani. Con Enrico Bracco ed Edoardo Ravaglia ci conosciamo da tantissimo tempo, mentre con Riccardo Gola e Fabio Sasso abbiamo avuto l’occasione di conoscerci meglio attraverso l’esperienza del disco, per me bellissima e intensa. Ho scelto loro non solo perché musicalmente preparati per esprimere tutte le sfumature, i suoni e le emozioni, ma, soprattutto, perché umanamente dotati dell’apertura mentale e della curiosità che mi ha permesso di suonare tutto quello che volevo, senza paura di sperimentare e di andare oltre i confini di un genere in particolare

Tra i brani in scaletta, oltre ai brani originali, ci sono alcune cover e, poi, spicca Jade Visions di Scott La Faro. Come mai la sua attenzione si è rivolta a un contrabbassista?

Uno dei primi dischi che ho ascoltato di jazz e che mi ha fatto scoprire tutto questo mondo a me sconosciuto è stato «Sunday At The Village Vanguard» di Bill Evans, e me ne sono innamorata. In quel disco c’era Jade Visions, credo che ormai faccia parte di me per quanto l’ho ascoltato e non potevo non metterlo nel mio primo disco, omaggio spontaneo a quel tipo di atmosfera, poetica, essenziale e un po’ malinconica: un disco meraviglioso. Il secondo disco che ho ascoltato è stato «JuJu»  di Wayne Shorter, ci ho messo un po’ di più a comprenderlo, ma poi è stato amore per la vita!

Poi c’è Free Love dei Depeche Mode, che di per sé è già tanto jazz, non trova?

Il titolo è sicuramente jazz! Potremmo definirlo un sunto di «A Love Supreme» di Coltrane e «Free jazz» di Ornette Coleman Double Quartet! Mi sono avvicinata alla musica jazz ben oltre i vent’anni e gli ascolti precedenti erano assolutamente diversi, passavo dall’elettronica alla musica italiana, dalla musica dark al pop internazionale. Ho  voluto quindi proporre nel disco brani a cui sono affezionata, ovviamente interpretandoli secondo la sensibilità che ho  in questo momento.

Quali sono le linee che segue nelle sue composizioni? 

Di solito parto da una linea melodica che ho in mente o che trovo sul sax o sul pianoforte. Da lì mi avvio per i sentieri impervi dell’armonia! A volte invece parto da un obbligato,un modulo ripetuto più volte e da lì compongo il resto.

In questo disco, a parte i suoi compagni, con chi altri avrebbe voluto duettare?

Forse più che duettare con qualcuno mi sarebbe piaciuto fare qualche esperimento in più con l’elettronica o arrangiare qualche brano per big band o, forse ancor di più, per un ensemble atipico, ma non c’è stato il tempo. Magari nel prossimo disco, chissà!

La crisi discografica dilaga sempre più, soprattutto in Italia. Perché ha voluto realizzare un disco?

Come dicevo, per me significa mettere un punto a una prima fase musicale della mia vita che non avevo mai documentato prima. Brani suonati live per tanto tempo, ma mai registrati, ma anche lo stimolo per scrivere brani nuovi. Poi sono una nostalgica, compro ancora gli Lp oltre che i cd: non sono un’amante degli mp3 anche se sicuramente poter fruire di tanta musica gratis su internet ti evita di acquistare brutti dischi, ma se un disco mi piace comunque lo acquisto e lo inserisco fra gli altri della mia piccola collezione. Quindi avere un mio cd anche semplicemente come oggetto è una grande emozione! E poi in ordine alfabetico potrei stare fra Cannonball Adderley, Albert Ayler o Gene Ammons o chissà chi altro con la A!

Di sassofoniste donne non se ne vedono molte in giro. Chi l’ha indirizzata verso questo strumento?

Un mistero. In famiglia nessuno suona, ma io volevo un sassofono, forse l’ho visto in tv, non so. I miei mi presero un pianoforte perché ancora era cosa strana essere una sassofonista, ma poi a vent’anni ho cambiato e finalmente sono arrivata al sassofono.

E’ un vantaggio o uno svantaggio essere donna nel contesto musicale?

E’ un «vantaggio svantaggioso» quando ti chiamano a suonare solo perché è la festa della donna oppure perché organizzano un festival dedicato alle donne o, ancora, perché ti vogliono ingaggiare in un gruppo di sole donne perché fa effetto: lo trovo ghettizzante. In alcuni contesti, anche televisivi, se sei donna hai punti in più, ma non specificano che se non sei abbastanza bella allora, anche se brava, preferiscono un uomo. Per il resto mi è capitato raramente di non essere presa in considerazione da altri musicisti in quanto donna, forse fra i jazzisti di più, ma poi sta a te dimostrare se hanno ragione a essere prevenuti oppure no.

Quali sono le sue esperienze passate che giudica più significative?

Sicuramente le esperienze che ho fatto in orchestra, adoro suonare in sezione e far parte di un unico suono così versatile, potente. Collaboro spesso con poeti, suono da sola e improvviso seguendo il senso e le sensazioni del testo, è molto interessante. Ma anche la gavetta che ho fatto suonando in discoteca mi è stata utile!

C’è stato un mentore per Milena Angelè?

Ho letto un libro, adesso non ricordo il titolo, credo una biografia su Paul Bley,  che adoro. In una intervista Bley spiega che per lui insegnare a suonare a qualcuno significa prima di tutto valorizzare quelle che sono le peculiarità dell’allievo. Certo la tradizione è fondamentale, ma non cristallizzarsi in quella e riuscire a tirare fuori comunque la propria personalità e il proprio suono. Non ho purtroppo incontrato una persona così illuminata. I miei mentori sono stati tutti i musicisti che ho ascoltato e che ho amato, anche miei colleghi. Da ognuno ho trattenuto quello che era bello per me.

Che musica ascolta di solito?

Jazz in tutte le sue dimensioni, classica, r&b, hip hop, nu soul, colonne sonore, musica elettronica. Sono curiosa in generale. Ascolto la radio qualche volta, ma sono poche le cose attuali che mi piacciono. E poi c’è il silenzio, i suoni della natura, la musica e il suono che cerco dentro di me.

Quali sono gli obiettivi di Milena Angelè e quali i suoi programmi futuri più immediati?

Nell’immediato continuare a promuovere il disco, pensare ad un nuovo progetto, migliorarmi ogni giorno di più come musicista e come persona. Da qualche anno gestisco una scuola di musica e il mio obiettivo è anche quello di poter condividere tutta la mia esperienza musicale ed emozionale con gli altri: magari poter essere il mentore di qualcuno!

Alceste Ayroldi