PERICOPES: NUOVO JAZZ ITALIANO TRA PARIGI E NYC

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Come nasce il progetto Pericopes e quali erano le vostre intenzioni iniziali?

Emiliano Vernizzi: Pericopes nasce nel 2007 al Conservatorio di Parma, nella classe di musica jazz di Roberto Bonati. Sin dall’inizio di questa esperienza in duo abbiamo cercato di trovare un linguaggio nostro, personale e originale, suonando soprattutto brani di nostra composizione. Le nostre esperienze di base erano abbastanza diversificate (classica, rock progressivo, hip-hop, blues, etc..), il che ha in qualche misura influenzato e arricchito la nostra musica, rendendo arduo etichettarla o inscriverla in categorie preesistenti. Diverse ricerche (come, per esempio, quella di Alessandro sui cahiers musicali della tradizione popolare e religiosa valdese) sono state il preludio a un lavoro a 360 gradi sull’improvvisazione. Nel giro di un anno avevamo messo a punto una ventina di brani originali, poi confluiti nel doppio album “The Double Side Vol. I e II”.

Tanti riconoscimenti prestigiosi, tra cui la vittoria lo scorso anno del premio Carrarese al Porsche Jazz Festival e, nel 2013, al Conad Jazz Contest indetto da Umbria Jazz. Come mai così tanto entusiasmo da parte della critica, secondo voi?

Vernizzi:  Le due vittorie sono arrivate in maniera del tutto inaspettata. In un panorama jazzistico italiano che ha visto – e tuttora vede ancora – riconoscimenti verso progetti riconducibili ad un mainstream più tipicamente “americano”, il fenomeno Pericopes è sintomo di un’attenzione nei confronti del nostro patrimonio musicale prodotto in Europa (e non solo) negli ultimi cinquant’anni, nella stessa direzione con cui il termine “jazz” si è sempre propinato: tradizione, contaminazione, ricerca. Durante lo scorso decennio la valorizzazione del jazz italiano ha riguardato soprattutto le doti dei singoli performer – meritatissima – a discapito della proposta e dell’originalità musicale. Pochi infatti sono stati coloro che veramente hanno avuto una pari risonanza nazionale semplicemente propinando un’idea musicale diversa dal solito. Ma da qualche anno la direzione sembra essere cambiata, e c’è maggiore attenzione verso le nuove generazioni (da non confondere con i “giovani talenti”) che introducono nel jazz un background musicale diversificato ed attuale. Pericopes abbraccia di certo questa direzione. Allo stesso tempo però ripropone una formula acusticamente riconoscibile quale il duo – armonico/melodico – piano/sax senza stravolgimenti acustici o post-produttivi. Poi, suonando assieme, non si finisce mai di scoprirsi.

Alessandro Sgobbio:  La musica che stiamo producendo nel terzo album raggiunge un’unica estetica musicale che evita i cliché dell’accompagnatore/solista e delle forme chorus preparate, ricercando un suono comune e una direzione personale nell’interplay senza mai tralasciare l’aspetto tematico/melodico. Questa è la formula vincente del nostro progetto.

Chi sono stati i vostri musicisti di riferimento, e quali sono oggi i musicisti che ritenete più interessanti, anche di area non jazz ?

Sgobbio: Tante sono state le figure che ci hanno ispirato, e in misura differente. Tralasciando i classici e restando sul jazz, per me sicuramente Misha Alperin e Bobo Stenson…

Vernizzi: Per me Dave Liebman e George Garzone. Riguardo ad alcune nuove produzioni, apprezziamo Arve Henriksen, Anouar Brahem, Mark Turner e Dans les arbres. Interessanti anche i tentativi di manipolazione del materiale jazzistico, come il francese Booster e i finlandesi Jaga Jazzist.

Siete molto internazionali: Alessandro vive tra Parigi e l’Italia, ed Emiliano ha passato diverso tempo negli Stati Unit. Ad aprile avete in programma una tappa a New York per la registrazione del vostro quarto album, oltre che per una serie di concerti. Come ci siete riusciti e quali sono, secondo voi, le caratteristiche che vi hanno permesso di avere successo anche oltre confine?

Sgobbio: Nonostante il progetto Pericopes fosse già avviato da qualche anno, possiamo dire che l’esigenza di confrontarci al di fuori del confine nazionale è arrivata in contemporanea da parte di entrambi. Ognuno di noi ha portato a casa le sue esperienze musicali e, di conseguenza, la musica dei Pericopes ne ha risentito in maniera positiva. Per mio tramite Parigi è diventata una piattaforma per sperimentare nuovo materiale. Abbiamo presentato il primo disco al festival Pas Grave e, nello stesso anno, coinvolto il batterista americano Nick Wight (con il quale Emiliano aveva appena terminato un tour europeo) in una serie di concerti. Il trio si è rivelato una sinergia perfettamente funzionante. Lo stesso Nick – che all’inizio non sapeva neanche bene come definire il nostro repertorio – è riuscito a portare la sua musicalità in questo progetto sintetizzando Pericopes in qualcosa di più “transatlantico”, se proprio vogliamo coniare un termine!

Vernizzi: Il pubblico parigino ha accolto con entusiasmo questo connubio proprio per il fatto che la musica non viene ricondotta ad una specifica collocazione geografica, ma è frutto di qualcosa che guarda oltre il genere di jazz che stiamo suonando sul palco. Questa collaborazione si concretizzerà il prossimo aprile con un mini tour a New York e la registrazione di un album.

Altri progetti per il futuro?

Vernizzi: Tanti progetti in cantiere: dopo la pubblicazione del nostro primo videoclip La Rentrée, realizzato dalla regista Eleonora Soresini e già selezionato in diverse rassegne dedicate al cinema d’autore, presto pubblicheremo il dvd del nostro concerto registrato alcuni mesi fa al teatro sociale Gualtieri di Reggio Emilia. Più avanti, dopo gli Stati Uniti, scriveremo nuova musica: ci piacerebbe lavorare con alcune delle voci più interessanti della scena attuale, lavorando e creando attorno alla voce.

R Crisafi