PAOLO FRESU E JAQUES MORELENBAUM INCANTANO IL TEATRO PETRUZZELLI

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paolo fresu e jaques morelenbaum

Bari, Teatro Petruzzelli, 8 febbraio 2014

Il Teatro Petruzzelli suscita palpitazioni, forse incute anche un certo timore reverenziale per il suo drammatico vissuto, tant’è che Paolo Fresu, con malcelata emozione, l’ha detto quasi da subito, rimarcando quanto fosse onorato di calcare le assi di un palco storico (che rimane solo nella memoria, purtroppo, e non più nella struttura) con un artista della levatura di Jaques Morelenbaum.

Un’occasione d’oro per il pubblico barese che ha affollato, senza sfiorare il sold out, il  politeama, perché Fresu e Morelenbaum non fanno di certo coppia fissa: è la seconda volta che intrecciano i loro strumenti, dopo l’esperienza del festival Time In Jazz di Berchidda.

Nessuna voce, neanche fuori campo, li introduce. Entrambi arrivano con passo lesto e scrosciano gli applausi convinti di un pubblico che li reclamava già da mezz’ora.

I due si studiano, si accarezzano: Morelenbaum prende confidenza con il suono, con la punteggiatura ritmica, sostenendo con un pedale armonioso le folate di Fresu, che mette subito in chiaro quanto avrebbe giocato con le sue diavolerie elettroniche, sovraincidendo anche il battere della sua mano sulla tromba. Un filo rosso che terrà testa per le quasi due ore di concerto, ma senza mai cadere nella banalità. Alma, tratta dall’album del trombettista sardo con Omar Sosa e con tre cadeau di Morelenbaum, apre una finestra dalla quale arriva aria frizzante. La melodia padroneggia Martango, brano che appartiene alla colonna sonora, firmata da Fresu, del film Vinodentro. E l’iniziale camerismo sfocia in una metamorfosi fatta di un inaspettato groove, con la tromba che diventa strumento ritmico e libera folate improvvisative brevi e intense.

Corcovado è lasciata alle sapienti mani del violoncellista brasiliano, che la scompone e ricompone mantenendo alto il riferimento armonico, ma parcellizzando quello melodico, fino a consegnarne le inconfondibili tracce al flicorno di Fresu, lì dove prende forma in tutta la sua immortale bellezza. Appoggiature, lunghe frasi in semicrome, attacchi precisi, delicatezza sapidamente alternata a un fraseggio breve e intenso marchiano a fuoco anche il lento valzer della romanza pucciniana Quando me’n vo. Le ombreggiature di Morelenbaum sono di un’assoluta precisione e incidono l’aria per bellezza e cura del particolare, tanto negli obbligati, quanto nei momenti di improvvisazione, come il suo solipsitico volo attraverso le note di Vinicius de Moraes prima, e la coppia Tom Jobim – Chico Buarque  con Retrato em branco e preto dopo, dove emerge tutto il suo amore per il patrimonio musicale brasiliano. L’elettronica è sempre presente, ma non sovrasta nulla e nessuno: Fresu la plasma a suo piacimento, la piega allorquando lascia emergere con grande nitore il suo bagaglio tecnico con un solo in respirazione circolare con la nota che lacera l’aria. Ar livre firmata da Morelenbaum, e una marziale gavotte bretone reinterpretata dalla tromba sordinata di Fresu, precedono il bis, una personale dedica del trombettista a Federico Fellini: Elogio della lentezza, melodia di sedici battute che accarezza il pubblico del Petruzzelli.

Alceste Ayroldi