Living Coltrane «Writing 4 Trane». Stefano Cantini

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«Writing 4 Trane» (Alfamusic) è il nuovo album del quartetto Living Coltrane. Ne parliamo con il sassofonista Stefano Cantini.

Stefano, come nasce l’idea di Living Coltrane?

Living Coltrane è una strada della nostra anima, sono cresciuto ascoltando tutti, ho amato follemente Eric Dolphy, Ornette Coleman, Miles Davis di Kilimangiaro e Nefertiti, Sonny Rollins e puoi immaginare quanti, se pensi che nel 1969 avevo un gruppo Free con musicisti molto più grandi di me. Che bel periodo, pieno di voglia di ricercare e non sentirsi scivolare dietro il dovere di fare quello che gli altri si aspettano da te.  Ecco, in questa fase della mia vita ho sentito il bisogno di quell’aria fresca, potente, di scrivere musica nuova ma che mantenesse quell’anima.

Coltrane è sicuramente l’ispiratore del progetto, ma non sembra sia la sola Musa, anche perché la vostra musica è protesa in avanti. Cosa avete tenuto a mente di Coltrane nella fase compositiva?

Hai perfettamente ragione, in effetti tutti noi con le nostre personalità e peculiarità risentiamo di tutto quello che è stato, tutti risentono di quello che è stato, ma con lo sguardo avanti.

Rispetto al disco d’esordio di questa formazione, qui non vi sono brani di John Coltrane. Quali sono i motivi di questa scelta?

Il sound del gruppo è fondamentale. Ricordo anni fa, quando insegnavo a Siena Jazz, facevo sentire agli studenti una battuta di tante formazioni, tutti percepivano subito John Coltrane, ognuno dei suoi musicisti aveva un suono e tutti insieme un sound unico. Il mio quartetto ha un suono. E’ stato bello comporre musica nuova mantenendo quel sound così speciale che esce dalla prima battuta in poi. Una bellissima scelta.

Living Coltrane rimarrà sempre un quartetto o si aprirà a eventuali collaborazioni?

La più importante collaborazione è stata e lo è tutt’ora con Enrico Rava. Moltissimi concerti insieme, momenti belli e creativi. Enrico è un grande musicista con il quale l’interplay è unico. Il nuovo progetto al quale stiamo lavorando prende il titolo dall’ultimo album uscito per Alfa Music, «Writing 4 Coltrane» con l’attrice Daniela Morozzi, scritto da Valerio Nardoni e Leonardo Ciardi, in cui i testi e le parole fanno contrappunto con la musica, suonano insieme, ci aiutano ad entrare nell’anima religiosa di Coltrane. La prima sarà nel Grey Cat festival di questo anno.

Stefano, tra i tuoi diversi progetti quale posto occupa Living Coltrane?

In questo momento è al primo posto insieme a ArDuo con Antonello Salis.

Hai avuto una serie di collaborazioni celebri. Quali sono quelle che, nel bene e nel male, hanno lasciato un segno indelebile?

Sono stato fortunato, tutte meravigliose, come quella con Michel Petrucciani con Kenny Wheeler, Chet Baker. Devo dire che Kenny mi è rimasto nell’anima…

Hai avuto modo di collaborare anche con grandi nomi del pop e del rock internazionale. Quali differenze ci sono tra l’universo jazzistico e quello extra-jazzistico?

Il mondo del jazz troppo spesso snobba tutto il resto e questo è un errore mortale. In ogni forma di musica ci sono valori più o meno forti.  Suonare o fare un solo su una canzone mette alla prova, sembra facile ma non lo è e poi ci sono canzoni e canzoni. Nel pop, in studio sono richiesti intonazione, suono, time e così via, che un bravo musicista deve avere. Poi posso decidere di sporcare e non curarmi di questi fattori privilegiando la poesia e la passione, ma personalmente i fondamentali ci devono essere e solo lo studio e il talento te li può dare.

Hai da pochissimo compiuto sessant’anni. Ti senti di fare un bilancio?

Nessun bilancio, anzi nuovi progetti! Il passato per un artista è passato. Il mio ultimo disco non l’ho ascoltato più. Insopportabile. La mia testa è già da un’ altra parte.

John Coltrane a parte, chi sono gli musicisti che ti hanno influenzato?

Woody Shaw, Wayne Shorter, John Surman, Elvin Jones, Ornette.

Ti sembra che il jazz sia un po’ in affanno in Italia?

No, sinceramente lo trovo pieno di talenti, giovani molto bravi e creativi. Il problema è il resto, se prendi Firenze ormai è una tragedia: ci sono due club    per americani in vacanza e poco più. Negli anni Ottanta pullulava di posti         meravigliosi, pieni di giovani con tanta di voglia di sperimentare.            Quando capiremo che incentivare i locali , anche piccoli, a fare cultura, è un grande investimento sul cervello dei nostri giovani, sarà troppo tardi.       L’Italia credo si sia persa da questo punto di vista….

Si producono moltissimi dischi, seppur le vendite sono sempre molto scarse. Pensi sia un bene o un male per il jazz?

Mio nonno direbbe: oggi fanno i dischi cani e porci, nel senso che tutti li fanno. Spesso inutili, ma legittimi. Prima di fare un disco ci dovrebbe essere una storia, ma è vero anche che i ragazzi li fanno per poi piazzarli ai concerti e sopravvivere. Come rimproverarli. Personalmente lo volevo fare postumo, ma mi hanno sconsigliato, chissà!

Sei anche direttore artistico del festival Grey Cat. Come vanno le cose dal punto di vista organizzativo in Italia?

Una tragedia! Costa meno un americano di un italiano, costa meno uno che lavora alla Sip e, a scappa tempo, fa il musicista di uno che lo fa di mestiere perché l’altro non deve versare l’Enpals: ma che sistema idiota è?! Tu hai già un lavoro? Ebbene paghi più tasse e invece in Italia no! Inoltre i finanziamenti scarseggiano e con tutte le normative assurde esistenti è veramente difficile riuscire a stare a galla. Ma noi siamo resistiamo.

Vorresti dirci qualcosa sulla prossima edizione del Grey Cat?

Anche quest’ anno sono riuscito a fare un cartellone degno di questo nome, tanti Italiani ma anche Charles Lloyd, Manu Katché, Dianne Reeves, Stefano Bollani, Paolo Fresu, Rita Marcotulli, Milo Cilenu e tanti altri.

Cosa ne pensi dell’idea maturata da Nicholas Payton con riferimento alla Black American Music?

Quello che non mi piace è il suo pensiero sulla fine del jazz: nel 69. Ma… Ricordo che quando suonavo con Ray Charles i giovani trombettisti mi avrebbero ammazzato, mentre i vecchi Black mi amavano. Forse la nuova generazione di musicisti neri pensa che il jazz sia suo?

Cosa è scritto nell’agenda di Stefano Cocco Cantini?

Nell’agenda prossima ci sono due progetti, uno teatrale di cui ho parlato e un disco con Simone Zanchini, caro amico e grande fisarmonicista.

E cosa nel diario segreto?

Un concerto con il quartetto di Coltrane a Follonica.

Alceste Ayroldi