LA “PRIMA” DI SAVERIO PEPE: «CANTO MALE IL JAZZ», IN REGALO CON MUSICA JAZZ DI MAGGIO

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L’opera prima di Saverio Pepe «Canto male il jazz», con Marco Tamburini, Alfonso Deidda, Aldo Vigorito, Giovanni Scasciamacchia, Daniele Scannapieco e Guido Di Leone, sarà allegata al numero di maggio di Musica Jazz insieme a «The Lomax Tapes» di Paolo Botti.

Quarantatré primavere testé battute e alle spalle tante scene calcate in veste di entertainer, conduttore radiofonico e televisivo, attore e voce recitante. E anche come cantautore, di quelli che le storie le raccontano come si faceva un tempo: con il sorriso, magari anche amaro, sulle labbra.  Il jazz c’è sempre stato nel suo guardaroba, tanto da diventare oggetto dei suoi studi accademici e conseguire la laurea presso il conservatorio della sua città, Matera. E così, dopo anni di lavoro e di ricerca, Saverio Pepe ha voluto unire le sue passioni: la musica, il jazz e l’ironia del suo cantautorato che, già nel titolo, svetta convinta: «Canto male il jazz». Pepe ha il dono della favella: sciolta, agile e concreta; parole senza fronzoli capaci di narrare fatti, persone, città e reconditi segreti con la naturalezza dello chansonnier d’antan che indossa abiti moderni e genuina baldanza.

La sua opera prima, allegata al numero di Musica Jazz di maggio in esclusiva, suggella la sua partnership con il compositore e arrangiatore Valter Sivilotti (collaboratore di Antonella Ruggiero, Elisa, Simone Cristicchi, Milva, Katia Ricciarelli) e un drappello di jazzisti di vaglia: il batterista lucano Giovanni Scasciamacchia, Aldo Vigorito al contrabbasso, Antonio Ippolito al bandoneón, Guido Di Leone alla chitarra, Alfonso Deidda impegnato al pianoforte, flauto, sassofono contralto e arrangiamenti, Daniele Scannapieco ai sassofoni tenore e soprano, Marco Tamburini alla tromba e flicorno.

Pepe riesce a far combaciare con cura la lingua italiana con lo swing declinato secondo tutti i suoi lemmi: da quello latin-sghembo-onirico di Un sogno a quello più tradizionale, da fumoso jazz club, di Figlio del pensiero semplice; dalla ballad intinta nel cuore della canzone italiana d’autore che si ascolta in L’attesa, all’up-tempo mainstream, con Tamburini in proscenio, di Megera e battagliera. La metrica e la cifra autoriale dei testi influenza la prosodia jazzistica, così Signori e maggiordomi ospita una ninna-nanna atipica; Venosa è delicata e signorile nei suoi richiami classici, così come l’amena cittadina descritta dall’autore. Pepe bandisce dal suo vocabolario la soluzione di continuità, frequentemente spezzata tra raffinate e carezzevoli melodie e arrembanti armonie, come in La vita è un paragone, recitata con il piglio sardonico che il testo richiede; alla quale fanno da contraltare le ballad Dimmi o cuore mio, e La signora del tango lì dove la musica argentina cade lasca. Un balzo agli inizi del Novecento jazz lo fa con Amore in prestito; d’altra pasta è la funk-rockeggiante e dalle liriche al vetriolo Terra assolata, strada dissestata. L’altalena tra ritmi e sentimenti prosegue con Tenerezze, sospiri, carezze che risente del neapolitan power più blue, contrappuntata dalla corale e robusta Il bellimbusto. La scaletta termina con L’orchestra, azzeccato brano di chiusura così come si faceva nei varietà in bianco e nero.  

Alceste Ayroldi

per approfondire: saveriopepe.it

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