«FROM EAST TO WEST». INTERVISTA A MARCELLO BENETTI

213

[youtube width=”590″ height=”360″ video_id=”nYMBU03_tzs”]

Marcello Benetti, batterista di Portogruaro che da diversi anni si è accasato a New Orléans, dando forma anche allo Shuffled Quartet, combo che parla diversi idiomi.

Marcello, parliamo subito dello Shuffled 4tet: c’è New Orleans che si piega all’Europa che, a sua volta fa l’inchino all’Africa. Qual è stata la genesi del quartetto?

Il quartetto si è formato a casa di Helen Gillet durante un House Concert: ho capito che il mio modo di scrivere musica sarebbe stato perfetto con questi specifici strumenti e soprattutto con questi musicisti!

Tu sei legato alla tradizione jazzistica, ma non così visceralmente da escludere qualsiasi altra ricerca. A tuo avviso in quale direzione?

In quella della tua natura, mai forzare per essere originali a tutti i costi.

In alcuni casi la tua musica è stata definita avanguardia: sei d’accordo con questa etichetta?

Non guardo mai le etichette…

C’è qualche combo, gruppo che ti ha ispirato questo quartetto?

Nessuno in particolare: questo gruppo è il contenitore compositivo che preferisco!

Perché hai escluso il basso?

No, in realtà volevo proprio il violoncello: è uno dei miei strumenti preferiti.

A un certo punto della tua vita, hai preso a frequentare New Orleans. Una scelta piuttosto insolita per un italiano: molti tuoi connazionali che se ne vanno negli States prediligono New York, perché lì – dicono – si fa il vero jazz. Perché New Orleans?

Non amo le grandi città, e poi adoro il battesimo di New Orleans.

Hai lasciato l’Italia per: a) diletto; b) disperazione; c) altri motivi…

Disperazione unita ad ottimismo e speranza.

Cosa ha New Orleans, gli Stati Uniti che l’Italia non ha?

Un pubblico divertente, attento, rispettoso e molta meno burocrazia.

Sembra sia rinata la volontà di creare associazioni, movimenti, enti volti a promuovere il jazz in Italia e all’estero. Come giudichi la situazione e, a tuo parere, cosa dovrebbe cambiare?

Bisognerebbe lavorare sul pubblico: se lo istruisci ad essere curioso le cose cambierebbero. Personalmente cerco di fare questo portando in giro la mia musica.

Quali sono state le basi, musicalmente parlando, dalle quali sei partito?

Il Blues, la British Wave degli anni Sessanta (sono un fanatico degli Stones), un po’ di progressive degli inizi (21st century Schizoid man!)

Chi ti ha folgorato sulla via di Damasco del jazz?

Il trio di Sonny Rollins del 1957 al Vanguard, Mingus, Monk, Art Blakey

Pensi che la tua musica, il tuo fare jazz sia troppo difficile per il pubblico italiano?

No…anzi!

Cosa è scritto nell’agenda di Marcello Benetti? A quali altri progetti stai lavorando?

Una band free funk con Will Thompson alle tastiere e diversi ospiti di volta in volta (l’album uscirà alla fine dell’anno) e un bellissimo trio con Pasquale Mirra e Silvia Bolognesi per l’anno prossimo (vorrei registrare un live con un ospite che però non dico per scaramanzia!).

Alceste Ayroldi