FIFTY YEARS AGO: INTERVISTA A LELLO PANICO (SECONDA PARTE)

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«Fifty Years Ago» è il titolo del nuovo album di Lello Panico pubblicato dalla Camilla Records. Di questo e di tanto altro abbiamo parlato con il chitarrista casertano. Ecco la seconda parte dell’intervista.

A proposito di formazioni, in «Fifty Years Ago» hai cambiato tutto o quasi. Fatta eccezione per Luca Trolli, due nuovi compagni di viaggio: Alessandro Gwiss e Francesco Luzzio. Perché hai scelto proprio loro e perché hai voluto ancora una volta Trolli accanto a te?

Si, è vero. Luca Trolli è presente in tutti i miei dischi blues oriented. Nell’album «Out Of The Blue» con Tim Fritz, alla batteria c’è Lucrezio De Seta, e Luca Trolli suona in due brani come ospite. Per il resto lui ha suonato in tutte le mie band e tutti i miei album da allora in poi. Lui è quel che io definirei una macchina da groove. A questo proposito mi piace ricordare un’altra mia grande band, Blue Noise, nella quale ha militato Trolli, con il fantastico talento Tollak Ollestad, armonicista, cantante e pianista straordinario. Grazie alla sua amicizia con Jimmy Haslip (Yellow Jackets) siamo riusciti ad avere sia lui che Russel Ferrante e il grande Robben Ford, con il quale abbiamo suonato a Roma in piazza San Giovanni nel concerto del primo maggio del 2009. Alessandro Gwis è un grande pianista e tastierista, oltre che una gran persona. Mi piace tanto anche per il suo grande spirito di avventura musicale. Lo conosco da tanto tempo, suonavamo insieme in una band dedicata alla musica degli Steely Dan: è stata una grande palestra. Francesco Luzzio è un giovane bassista  (ha trent’ anni, ma per me è sempre un giovane bassista) uscito dai corsi del St. Louis Music College di Roma. Bravo, professionale, buon tocco, ottimo talento. Lui è quello che gli americani definiscono groovester. Secondo me ha il futuro assicurato.

 

In questo album mancano le parole: hai lasciato parlare solo la tua chitarra?

Sì, dopo anni passati a scrivere materiale per grandi cantanti di Blues e Soul, ho sentito la necessità di fare qualcosa di strumentale. Temi come Gorilla o Fifty Years Ago sono certo cantabili, ma non adatti alla voce umana. Sono nati per il suono della mia chitarra e sono abbastanza “twisted” rispetto a tutta la mia produzione precedente. Sono felice di questo progetto e soprattutto mi piace tanto la dimensione live. Suonare con questa nuova band mi piace davvero tanto.

Tante amicizie, tante collaborazioni. C’è qualcuno che ti ha insegnato di più dal punto di vista umano?

Tutti mi hanno insegnato qualcosa, a partire da un bassista napoletano, Tony Ronga, persona dolcissima, scomparso da un paio di anni, col quale ho mosso i primi passi nel jazz. Suonare a Roma in tutti questi anni con tanti musicisti di grande talento mi ha insegnato tantissimo. La persona che più mi ha colpito negli anni recenti è Tollak Ollestad. Lui, oltre ad essere un grande musicista, è una persona fantastica, ormai un fratello per me. Quando arriva a Roma per suonare con me è sempre una festa. Si tratta di un rapporto di grande amicizia che va aldilà della musica. Mi capita di andare in Olanda a suonare con lui ed è sempre una grande gioia.

Sei un didatta affermato. Come è iniziata?

Ho sempre insegnato. C’era sempre qualcuno che mi chiedeva di dargli lezioni di chitarra e io accettavo di buon grado. Ho imparato moltissimo dalla mia attività didattica e continuo ad imparare. Questo è un mestiere in cui non si finisce mai di imparare, vivaddio. Ho cominciato ad insegnare un po’ più seriamente a metà anni Ottanta nelle scuole di jazz napoletane. Dovevo spiegare agli altri quel che io facevo istintivamente e, diciamolo pure, abbastanza empiricamente. Lì ho cominciato a studiare per spiegare prima di tutto a me stesso quel che suonavo, per poi poterlo spiegare ad altri.

Qual è il primo consiglio che dai agli allievi?  

Affinare il proprio orecchio attraverso le trascrizioni di soli e parti ritmiche dei grandi maestri. Acquisire un linguaggio significa conoscere la tradizione del genere musicale che si ama. Per andare avanti è bene guardarsi indietro. Sono docente e coordinatore didattico della cattedra di chitarra jazz blues al St. Louis Music College di Roma. Formiamo professionisti che andranno in giro per il mondo a suonare. Si tratta di una grande responsabilità, per cui non basta acquisire tecnica strumentale e conoscenza teorica. Chi studia con me deve essere in grado di acquisire buone capacità di fraseggio e senso ritmico  per poter competere internazionalmente in ambito professionale. Il mondo è diventato molto piccolo…

Quali sono i prossimi passi, progetti o aspirazioni di Lello Panico?

Prima di tutto voglio suonare tanto con questa nuova band,e questo nuovo progetto che racchiude in sé tutto il mio mondo musicale, fatto di blues, jazz, rock, soul e un pizzico di follia.

A Ayroldi

(seconda parte)