«CONTEMPLATION» «LA BANDA» «20 CENTS PER NOTE». INTERVISTA A FRANCESCO CAFISO

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Il sassofonista e compositore siciliano pubblica tre dischi in un colpo solo: «Contemplation», «La banda» e «20 Cents Per Note». Ne parliamo con lui.

Tre dischi differenti in una sola volta non è un fatto consueto. Come mai questa scelta?

La proposta di fare tre dischi è partita dal mio produttore. Inizialmente ero molto scettico: mi sembrava una follia artistica e umana lavorare a tre dischi contemporaneamente. Ma, entusiasta e con tanta musica già in cantiere, mi sono messo al lavoro, buttandomi a capofitto e con tutto me stesso in quest’avventura. L’ho vissuta come una sfida personale ma anche come un forte stimolo per me stesso. Come è consuetudine, si poteva pensare di far uscire i tre dischi in tre anni consecutivi ma, forse, fra tre anni questa musica non mi rappresenterà più.

Era un progetto a cui lavoravi già da tempo?

Prima ancora che si pensasse a un progetto vero e proprio avevo iniziato a comporre gran parte dei brani che sono confluiti successivamente nei tre dischi. Da un punto di vista compositivo è stato, infatti, un periodo fertilissimo. Nell’arco di un anno ho scritto tutti i brani che in seguito hanno costituito i tre repertori dei tre rispettivi album. Dietro questi dischi ci sono tanta passione, tanto lavoro, impegno, studio, dedizione ma anche tanti sacrifici, tante energie e risorse di ogni tipo, un’operazione che ha coinvolto più di cento persone grazie alla produzione di Alfredo Lo Faro e a una squadra di grandi professionisti unita e compatta. Pensare a tre progetti completamente diversi tra loro richiede un grado di attenzione, di concentrazione e uno sforzo creativo incredibili, oltre che una grande versatilità. Inoltre, nel caso di «Contemplation» e de «La banda», si parla di grandi organici, pertanto, oltre alla composizione ho curato gli arrangiamenti collaborando con due grandi amici e musicisti: Mauro Schiavone e Giuseppe Vasapolli.

Tre dischi parecchio differenti tra loro. Qual è il filo rosso che li lega?

Il filo rosso sono io. I tre dischi rappresentano le tre anime di Francesco Cafiso. Tutti e tre sono importanti allo stesso modo e, solo se pubblicati contemporaneamente, possono dare l’idea di come sono io adesso. Questi dischi sono la fotografia della mia musica, del mio modo di viverla e sentirla in questo particolare momento della mia vita: «Contemplation» rappresenta la mia spiritualità, la mia concezione intima dell’esistenza; «La banda» ritrae la mia sicilianità, in memoria del legame che unisce la mia terra al jazz; «20 Cents Per Note» è la mia anima artistica, la mia indole jazzistica che non mi abbandona mai.

Partiamo da «Contemplation». Una line-up internazionale con Linda Oh, Marcus Gilmore e Alex Acuña, oltre a te e Mauro Schiavone. Cosa ti ha spinto a scegliere proprio loro?

Per queste composizioni vedevo già al mio fianco dei musicisti giovani, ma con una forte identità e personalità musicale. Ho trovato in Marcus Gilmore e Linda Oh proprio questi ingredienti: sono riusciti a riprodurre, in modo spontaneo, il suono, l’intenzione, l’approccio e l’atteggiamento a cui aspiravo per questo progetto. Ho deciso di coinvolgere Alex Acuña perché è stato il primo musicista a cui ho pensato quando ho deciso di inserire le percussioni in questo disco. La collaborazione di Mauro Schiavone, invece, è il frutto di un incontro, umano e artistico, di fondamentale importanza in questo periodo. Avendo curato con me gli arrangiamenti di questo disco, l’ho voluto al mio fianco anche come pianista. Schiavone è un musicista incredibile, completo a trecentosessanta gradi: può fare tutto e conosce tutto. La sua completezza e versatilità ha fatto sì che io lo coinvolgessi in tutti i miei progetti. Artisticamente si è creato un rapporto empatico, simbiotico, che ci ha portato a istaurare un rapporto di vera amicizia.

Poi, c’è la London Symphony Orchestra.

La London Symphony era già un piccolo sogno nel cassetto. Si tratta di una delle orchestre più importanti al mondo. Sin dall’inizio del progetto abbiamo pensato a una grande orchestra e, aspirando al meglio, abbiamo deciso di coinvolgere la London Symphony. Già agli esordi del progetto avevo chiaro il mio obiettivo, ma inizialmente ero un po’ disorientato. Giuseppe Vasapolli, uno degli arrangiatori di «Contemplation», ha saputo interpretare i miei pensieri e le miei intuizioni formulando un possibile organico. La scelta di questo ensemble deriva da un lavoro di collaborazione e confronto: dietro questi dischi c’è un grande lavoro di squadra.

La scelta di registrare tra New York e Londra è una scelta dovuta o voluta?

Voluta. Avevo già chiaro il tipo di suono che avrei voluto ottenere da ciascuno dei dischi e i tre diversi studi hanno esaudito le mie richieste. Per quanto riguarda «Contemplation», abbiamo registrato l’orchestra negli Angel Studios di Londra e il quartetto nello Studio G di New York. La post-produzione e il missaggio al Lab Music di Palermo con la collaborazione del sound engineer Riccardo Piparo.

Sembra di ascoltare la colonna sonora di un film. Quale film andrebbe bene, a tuo avviso, per questo disco?

Devo essere sincero, in molti mi hanno detto questo. In realtà, non riesco a immaginare un film per la mia musica. Ho tratto ispirazione da un fatto realmente accaduto, un piccolo aneddoto, un test psicologico a cui mi hanno sottoposto. Un mio amico mi ha chiesto come mi sarei comportato se mi fossi trovato di fronte a un muro. Ho subito immaginato questo muro bianco e ho risposto che l’avrei dipinto: il muro rappresentava la morte e il fatto che volessi dipingerlo alludeva alla capacità di non vedere la morte come la fine di qualcosa, ma come l’inizio di qualcos’altro. Da qui è scaturita la voglia di mettere in musica questa mia reazione, e i nove movimenti della suite danno vita a un andamento narrativo che prende la forma di un cerchio, in cui inizio e fine sono speculari.

«La banda» è la tua fascinazione fin da bambino?

No, non ho mai fatto parte di una banda né è stata mai una mia aspirazione, anche perché a nove anni facevo già parte di una vera e propria big band. La banda fa parte del mio retaggio culturale. Anche se non in modo diretto, sono sempre stato a contatto con le bande, basti pensare alla festa del patrono, le feste di paese, i funerali. Le bande hanno avuto da sempre un ruolo di fondamentale importanza nella vita dei paesi del Sud Italia.

Forse, più degli altri dischi, qui hai voluto raccontare una storia.

Il legame della Sicilia col jazz. Il jazz è un linguaggio che ha una fortissima identità e che nasce dall’incontro di più culture, in particolare quella africana, quella ebraica e quella siciliana. I siciliani hanno apportato un grande contributo che è quello della tradizione bandistica.Ho scritto composizioni ispirate a questo concetto.Allo stesso tempo, ho voluto mettere in musica le caratteristiche principali di un popolo e di una terra meravigliosa ma caratterizzata da grandi contraddizioni, qual è appunto la Sicilia.La particolarità di questo disco è la presenza di melodie fortemente evocative, perché suggeriscono immagini e temi riconoscibili anche da un pubblico meno esperto.

Nella tua formazione di jazzista quanto sono stati importanti i tuoi natali?

I miei natali sono importanti perché la musica è lo specchio di quello che siamo. Credo fermamente che il mio essere siciliano abbia contribuito a sviluppare il mio modo di suonare e di concepire la musica. Il mio è un jazz caldo, solare ma anche impetuoso ed energico, a tratti enigmatico: la Sicilia racchiude un po’ tutto questo.

In Dominaciones, invece suona la Spagna. Un legame storico o personale?

Entrambi. Adoro la Spagna, in particolare l’Andalusia, in cui sono stato in vacanza quest’estate. Ho scritto questo brano prima di visitare questa terra calda e affascinante: era il legame storico, che ci riporta alla dominazione spagnola in Sicilia, che avrei voluto rievocare. Ma Siviglia, con i suoi suoni e i suoi ritmi, mi ha letteralmente rapito e, al rientro in Italia, Dominaciones è cambiata radicalmente.

Nel tuo disco il concetto di banda sembra più vicino a quello di large ensemble statunitense. Forse entrambi i suoni e i concetti mescolati. E’ questo l’obiettivo che volevi raggiungere?

Sì, il mio intento non era fare musica per banda: mi sono semplicemente ispirato alla tradizione bandistica. Nella mia «banda» ci sono rimandi anche alle marching band e al blues della vecchia New Orleans. Inoltre, ho voluto trattare ogni brano in modo diverso, alcuni arrangiamenti sono volutamente più sofisticati e ricercati, altri più semplici ed immediati, altri ancora di stampo più classico.

 «20 Cents Per Note», invece, trasmette tutta la tradizione jazzistica che ha caratterizzato la tua crescita professionale. Quanto è importante per te il passato?

Il passato è fondamentale perché ti proietta nel futuro con la consapevolezza di quello che sei stato, che sei e che vorrai essere. Grazie ai miei primi ascolti, ai miei primi studi, al linguaggio dei grandi del jazz io oggi sono il musicista che ascoltate. Ritengo sia fondamentale per un jazzista conoscere il vocabolario e l’enciclopedia del jazz. Sulla base di questo ci si può spingere oltre, provando a dire qualcosa di proprio, cercando di lasciare emergere, in modo naturale e spontaneo, la propria identità artistica. Nel rispetto della tradizione, è la voglia di rischiare e di fare qualcosa di diverso che può contribuire a fare la differenza. Non è detto che ci si riesca, al contrario, riuscirci è difficilissimo! Tuttavia, tentare è importante ed entusiasmante, è questo il bello del jazz.

Sembra che un elemento sostanziale sia cambiato: non si ascolta più il Francesco Cafiso di un tempo, le tue incursioni boppistiche sono stemprate e badi più alla tenuta melodica-armonica alla cura di ogni singola nota.

Sono cambiato molto, sono meno istintivo e mi concentro più sul risultato complessivo della musica. Ho una visione più globale e meno soggettiva. Non voglio suonare le cose in più, quelle che potrebbero stancarmi già al secondo ascolto. Preferisco comunicare direttamente l’essenziale, cercando comunque di esprimere tutto me stesso. Questo comporta un lavoro di maggiore ricerca e introspezione.

Qual è il futuro musicale di Francesco Cafiso?

Uno dei motivi per cui mi sono imbattuto in quest’avventura è stato proprio il fatto di non riuscire a prevedere cosa sarebbe potuto accadere dopo. E’ uno stimolo incredibile che mi spinge ad andare alla ricerca di qualcosa di nuovo, di entusiasmante, di diverso. Nel mio imminente futuro c’è il desiderio e la speranza di poter portare la mia nuova musica in giro per il mondo.

I progetti discografici sono fatti anche per essere suonati dal vivo. I primi due sono piuttosto impegnativi da eseguirsi live. Hai pensato a qualche soluzione alternativa?

Mi rendo conto che un’esecuzione dal vivo sarebbe più impegnativa per «Contemplation», ritengo, invece, che «La banda» sia più fattibile. Nel primo caso non ho soluzioni alternative, perché il progetto è stato concepito per questo tipo di organico e snellirlo potrebbe significare snaturare il contenuto musicale. Il mio auspicio è di riuscire comunque a portarlo sul palco. Invece «La banda» è il progetto che porto in giro in concerto già da tempo con il mio sestetto composto da: Giovanni Amato alla tromba, Humberto Amésquita al trombone, Mauro Schiavone al piano, Giuseppe Bassi al contrabbasso e Roberto Pistolesi alla batteria.

Tre dischi sono tanti in un mercato discografico asfittico.

Nonostante il mercato sia asfittico, credo proprio che tre dischi possano, in qualche modo, essere alternativi e appetibili. A mio avviso rappresentano una novità, credo che possano stimolare la curiosità e l’interesse di molte persone.

Tu sei anche direttore artistico del Vittoria Jazz Festival. Stai già lavorando alla prossima edizione?

Sì, il programma è già pronto. Avremo artisti internazionali anche quest’anno: Christian McBride, Ron Carter, Gonzalo Rubalcaba, Lee Konitz, Kurt Rosenwinkel, George Garzone, Giovanni Amato e molti altri. Come ogni anno sarò io a chiudere il festival presentando proprio uno dei tre progetti: «La banda».

Alceste Ayroldi

foto di copertina di Arturo Safina