Avishai Cohen Quartet a Dublino

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13 luglio 2016, Dublino, National Concert Hall

Avishai Cohen Quartet

Ogni silenzio viene automaticamente associato al dolore, come se nell’assenza di parole, o di suoni, fosse impossibile ritrovare una dimensione diversa da quella della sofferenza. Eppure, spesso, è nel silenzio che il sentire disvela tutta la sua complessità, le sue sfumature, indicando percorsi tutt’altro che scontati.  Di questa imprevedibilità sembra essere intrisa la musica di Avishai Cohen, trombettista israeliano che, il 13 luglio scorso, ha presentato il suo ultimo album «Into The Silence» (ECM, 2016) – alla National Concert Hall di Dublino.

Sul palco con lui il compagno di sempre, Yonathan Avishai (p.), Barak Mori (cb.) e Nasheet Waits (batt.) che, insieme al musicista di Tel Aviv, formano un quartetto che viaggia in perfetta armonia col proprio leader. Il progetto è dedicato alla memoria del padre di Cohen, scomparso a fine 2014, e sebbene la morte sia – inevitabilmente – il tema portante di queste composizioni, esse sono percorse da un’inattesa vitalità, insieme inquieta e affascinante.

Il live si apre con un’impeccabile esecuzione di April In Paris, su cui spicca il bel timbro della tromba di Cohen, ma è con Life And Death, forse il brano più davisiano dell’album, che si entra nel cuore del concerto. Una composizione che ipnotizza nel suo andamento solo all’apparenza placido, ma che rivela presto una tensione sotterranea ben resa dall’ostinato al contrabbasso di Mori, pronto a lanciarsi in una serie di scambi di grande effetto con la tromba di Cohen mostrando la grande dinamicità di questo quartetto.

Dream Like A Child lascia invece che sia il piano di Yonathan Avishai, con la sua ariosa apertura, a tratteggiare quello che è un commovente omaggio al sogno di un padre che ha sempre desiderato poter imparare a suonare uno strumento, senza poterlo fare. E nel fraseggio delicato della tromba di Cohen, intrecciato col piano di Avishai, sembra quasi di poterlo sentire il rimpianto di quel bambino che non c’è più. È poi la volta di Quiescence, disadorna eppure densa di una sua intrinseca poesia in cui l’interplay tra i musicisti si sviluppa al meglio, con la batteria di Waits sempre efficace ma mai invasiva. Into The Silence, brano dall’incedere nervoso, è caratterizzato dal drumming irrequieto di Waits e, ancora una volta, dal fondamentale dialogo tra piano e tromba, che qui si esprime con particolare limpidezza.

Il concerto si chiude con Behind The Broken Glass. L’esecuzione incanta per la capacità di coinvolgere – in ugual misura e a più livelli – tutti i musicisti, dando vita a un momento intensamente emotivo. Cohen si conferma un artista dalla personalità sfaccettata, qui certamente alla sua prova più matura come compositore e come interprete, ma anche un musicista capace di infondere nella propria scrittura quelle umanissime fragilità che ci ricordano come, dentro certi silenzi, siamo tutti più vulnerabili.

Lucilla Chiodi